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24 novembre 2024

Oderzo Motta

In mostra a Oderzo, sua città natale, l'arte visionaria e onirica di Alberto Martini

Oltre 150 opere esposte

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Alberto Martini  Oderzo

“La penna è il bisturi dell’arte, è strumento acuto e difficile come il violino (...) La mia penna è, a seconda dei casi, forte come un bulino e leggera come una piuma”, così scriverà nella propria biografia l’artista che, pur dedicandosi fin dagli anni Dieci anche al pastello e alla pittura, con opere di indubbio fascino e suggestione, troverà fama in Italia e in Europa grazie ai suoi disegni, mezzo preferito per esprimere un impulso creativo dirompente e per seguire la personale vocazione al macabro e allo humor ad un tempo.

 

Un’arte enigmatica, visionaria, carica di simboli e onirica quella di Alberto Martini, che si nutre di un immaginario di morte, ma anche di una sensualità tardo-romantica e decadente, per poi inoltrarsi nel mondo dell’inconscio non abbandonando mai il sogno; un’arte capace di stupire per la genialità d’invenzione e per una fantasia sorprendente e inquieta.

 

Scriverà Martini “L’arte è vivo sogno – estasi sublime - cieco chi non la sente - impotente, morto (...)”.

 

E ancora in “Vita d’artista” rivolgendosi direttamente al lettore: “(...) Ricordati che vero è solo la nostra arbitraria visione della vita (...) pensa e ripensa che ogni uomo fatalmente vede ogni cosa in modo diverso, poiché ogni cosa è come uno specchio dove si riflette la nostra anima, e le nostre anime sono tutte differenti”.

 

Cresciuto nella provincia di Treviso, assiduo frequentatore della Venezia del tempo e della Biennale Arte alla quale parteciperà dal 1897 per 14 edizioni consecutive, Martini sarà costantemente in giro per l’Europa, invitato ad esporre a Monaco, Berlino, Bruxelles, Londra e Parigi, ove risiederà dal ‘28 al ‘34 nel quartiere di Montparnasse, dedicandosi a sviluppare il proprio linguaggio surrealista; trascorrerà infine gli ultimi vent’anni a Milano.

 

La mostra “Le storie straordinarie. Alberto Martini ed Edgar Allan Poe” - promossa dalla Fondazione Oderzo Cultura tra i Grandi Eventi della Regione del Veneto, con il patrocinio del Comune di Oderzo e curata da Paola Bonifacio e Alessandro Botta, con il coordinamento scientifico di Carlo Sala - prima di avventurarsi tra le illustrazioni dei racconti straordinari, darà conto degli esordi dell’artista autodidatta e della maturazione di atmosfere e temi che lo renderanno sensibile e visionario interprete di Poe.

 

Un percorso intenso a Palazzo Foscolo negli ambienti della Pinacoteca Alberto Martini destinati, dopo l’esposizione. a un totale riallestimento, cui viene abbinata - quale evento collaterale della mostra sempre dal 27 settembre 2024 al 25 marzo 2025 - una selezione dei capolavori della stessa, con temi e sguardi differenti, allestiti al primo piano.

 

120, dunque, le opere nella mostra celebrativa e tantissimi i prestiti ottenuti – disegni, incisioni, olii, pastelli - grazie anche al supporto organizzativo di Villaggio Globale International e al lungo lavoro di ricerca, che ha permesso di riunire, accanto a prestiti museali, lavori inediti e importanti opere in collezioni private o nelle raccolte degli eredi mai esposte prima. Allo stesso modo la selezione di disegni dei diversi racconti di Edgar Allan Poe, riuniti per la prima volta in così alto numero - tanto da rendere difficilmente ripetibile questo evento - propone a Oderzo un’immersione totale nella poetica nata dall’incontro tra i due autori: operazione resa ancora più significativa dall’aver riproposto in molti casi l’abbinamento tra disegno maggiore e minore del medesimo soggetto.

 

La mostra dunque, dopo una sorta di preludio, con l’autoritratto di Martini in veste di biglietto da visita del 1914 e l’iconico Lucifero scelto - tra le famose illustrazioni della Divina Commedia - a simbolo delle celebrazioni, prende il via con alcuni dei primissimi lavori dell’artista dell’ultimo decennio del XIX secolo, a testimoniare, da un lato, il legame con il paesaggio agreste della campagna trevigiana che Martini ricorderà sempre con amore, dall’altro, l’attenzione in questi anni alla vita dei lavoratori e alle classi sociali meno agiate, in ossequio al realismo sociale allora in voga in Europa.

 

Si vedranno così insieme per la prima volta il bozzetto su cartone e il grande olio su tela raffiguranti un’Antica gualchiera trevigiana, per la lavorazione della lana, seguiti da alcuni disegni del ciclo Le corti dei miracoli ispirati a Victor Hugo e il Poema del lavoro – su soggetti di sua invenzione - opere che segnano le prime apparizioni in pubblico: a Venezia alla seconda esposizione internazionale del 1897, quindi a Monaco di Baviera, in concomitanza con il “soggiorno formativo di parecchi mesi”, e alla mostra di Belle Arti a Torino del 1898 cui seguiranno ancora Venezia e Monaco, quindi Londra e Berlino.In questi primi lavori, così come nell’Albo della morte - in cui sono evidenti i richiami stilistici alla grafica cinquecentesca nordica - l’impeto poetico unisce l’immaginazione macabra al tono epico, la visione penosa di povere genti e le rivendicazioni dei lavoratori, alle visioni della natura d’intonazione simbolista.

 

Prende corpo in questi anni la predilezione di Martini per l’illustrazione di opere letterarie e la scelta di interpretare la parola con il suo inconfondibile segno lo accompagnerà per tutta la vita: i centotrenta disegni eroicomici (in realtà 252 tavole) de La Secchia Rapita del Tassoni – “una curiosa sfilata di soldatacci mangiati dalla fame e pidocchiosi, le cui gesta fanno impallidire i più fieri eroi cavallereschi” - saranno presenti in mostra in un’accurata selezione.

 

Fondamentale sarà l’incontro nel 1898 con il critico napoletano Vittorio Pica, tra i fondatori della Biennale di Venezia e suo segretario generale dal 1920 al 1928. Cogliendo immediatamente l’originalità e le peculiarità espressive dell’artista opitergino, lo studioso lo sosterrà proponendo la sua arte in ambito italiano ed europeo. L’esposizione omaggia il sodalizio con Pica attraverso il celeberrimo Ex libris, eseguito per il mentore ed esposto alla Biennale nel 1905, e con lo splendido olio su tela La Fiaccola o Allegoria del genio della Poesia o dell’Arte del 1906 mai esposto prima in Italia. Un’opera altamente simbolista - la figura femminile nuda (la Sapienza come Atena o Minerva) con la fiaccola accesa e un curioso uccello notturno con le sembianze del volto di Pica, che stringe un calamo tra gli artigli – che dà conto di come Martini non abbandoni mai la pittura, per realizzare la quale, peraltro, il disegno rivestirà sempre un peso fondamentale nell’arco di tutta la sua produzione.

 

Il disegno di Martini è straordinario, puntualissimo, lenticolare e ricchissimo nei particolari: di una perizia senza pari, “basilare – come scrive l’artista - per il superamento dei limiti della realtà e del visibile”.

 

L’amicizia e il sostegno di Pica, che lo invita anche a collaborare ad “Emporium”, la prima rivista modernista italiana, i suoi suggerimenti in merito a letture, tematiche e frequentazioni, così come l’amara constatazione che Martini non sia sufficientemente compreso dalla critica e dal pubblico, emergono dal ricchissimo e trentennale epistolario conservato dalla Fondazione Oderzo Cultura, di cui verrà proposta in mostra un’interessante selezione. Seguiranno nel percorso due meravigliosi disegni dal ciclo La parabola dei celibi presentata a Venezia nel 1904: immagini oniriche e e forti, atmosfere notturne e forti, atmosfere notturne – presenti anche nella sorprendente e decadente “Luna nella laguna morta” - mettono in scena il tema della femminilità corruttrice, tanto amato dal simbolismo internazionale.

 

 

Prima dell’affondo dedicato a Poe, esperienza che Martini avvia nel 1905, il percorso espositivo indugia su altre produzioni dei decenni a seguire, fondamentali per accennare alle eterogenee sfumature creative multidisciplinari affrontate dall’artista. Pittore di vaglia, sostenitore dell’arte totale - cresciuto nello spirito della multidisciplinarità creativa dell’Art Noveau - creatore di visioni oniriche, Martini dà prova di sé negli splendidi oli simbolisti destinati ad essere esposti nella cosiddetta “Sala del Sogno” alla 7a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1907.

 

Nel sonno, Diavolessa e Notturno, caratterizzati da una cornice dorata dipinta ad encausto come già in La Fiaccola, sono riuniti qui per la seconda volta dopo la famosa Biennale e a distanza di 12 anni dall’ultima loro esposizione. “Un trittico estremamente raffinato e cerebrale – spiega la curatrice Paola Bonifacio - legato al tema dell’esaltazione della Notte”, dipinti d’impronta modernissima laddove il paesaggio diviene trasfigurazione dello stato d’animo. Eppure dalla “Sala del Sogno” ideata da Plinio Novellini ed eseguita da Galileo Chini, la tela martiniana della Diavolessa venne espunta subito, forse perché considerata troppo licenziosa o, più probabilmente, perché acquistata da un sostenitore dell’artista.

 

La sperimentazione della forma e del colore d’inizio secolo e la predilezione per l’universo femminile, segno di un Martini aggiornatissimo e capace di cogliere con originalità gli stimoli internazionali, si traducono nella serie di sontuosi pastelli realizzati tra il 1912 e il 1913, in cui ricorrente è il soggetto delle farfalle - rappresentate in mostra da Farfalla crepuscolare e Nudo e farfalla, raffinatissime nelle loro tonalità delicatissime, sintetizzate anche nelle litografie colorate a mano di chiaro richiamo naturalistico - di cui la mostra espone una selezione notevole proveniente dalla Biblioteca civica di Verona. E sempre alla donna guarda Martini, nelle due splendide oniriche litografie su pietra Il Bacio e La bocca del 1915 - esempi straordinari del suo virtuosismo di acquafortista - e ne La Bellezza della donna (1905) “disegno significativamente scelto da Salvador Dalì – spiega Alessandro Botta - a corredo di un articolo sull’immaginario spiritico del 1914 per la rivista “Minotaure” dell’editore Skira, fondamentale per gli sviluppi del movimento surrealista”.

 

La mostra documenta poi lo stimolo proveniente dalla letteratura straniera e la passione per il teatro - già evidenziata nella Parabola dei celibi e culminante nell’invenzione visionaria del Tetiteatro nel 1923 - che verranno ricordati in mostra con alcuni disegni ispirati alle tragedie di Shakespeare già vicini allo spirito macabro e orrifico di Poe - l’Amleto e il Macbeth - e i disegni originali del Cuore di cera, esposti ormai solo nel lontano 1985, il balletto fantastico di cui nel 1919 Martini disegna i vestiti e cura la coreografia.

 

In questi anni tante sono le personalità di spicco con cui l’artista intrattiene significative relazioni di amicizia e professionali: da Filippo Tommaso Marinetti, fondatore tra l’altro del mensile letterario “Poesia” per il quale Martini realizzerà la copertina e che lo introdurrà negli ambienti artistici e culturali più alla moda, a Gabriele D’Annunzio, con cui sarà in rapporto dal 1914 e che per l’opitergino conierà sulle pagine del Corriere della Sera l’acuta definizione “Alberto Martini de’ Misteri”; quindi Margherita Sarfatti, che frequenterà per alcuni anni, prima della sua polemica sul movimento artistico del Novecento, e poi l’eccentrica e facoltosa Luisa Casati Stampa. Per la Marchesa, Alberto Martini compone tra il 1912 e il 1934 ben 12 ritratti nell’ambito di un sodalizio che influenzerà le scelte estetiche dell’opitergino e quelle di carattere fortemente identitario della Divina.

 

Sono tuttavia i Racconti straordinari di Edgar Allan Poe a raccogliere per molti anni l’interesse di Martini, permettendogli di raggiungere le più alte vette poetiche e tecniche per genialità d’invenzione e originalità: 105 disegni realizzati tra il 1905 e il 1908 e poi continuativamente fino al 1936, mai pubblicati insieme finché Martini fu in vita e intrisi di un cupo mistero fantastico, che ben rappresenta quell’estetica dello spaesamento che porterà l’artista verso il surrealismo. “Vivevo e disegnavo“, commenta egli stesso, “in preda ad una foga febbrile”.

 

Di fatto Martini non compie una pura opera di illustratore: da un lato traduce visivamente ogni singolo particolare del racconto letterario, anche minore e apparentemente irrilevante; dall’altro arricchisce, interpreta, offrendoci una sorta di continuazione del discorso onirico dello scrittore americano e dando vita a un poema visivo dal fascino non meno vertiginoso.

Mai, dicevamo, un corpus così ampio dei disegni martiniani dei Racconti di Edgar Allan Poe è stato presentato insieme.

 

La maestria del segno raggiunta da Martini si mostra ineguagliabile. La fantasia creativa nella resa dei personaggi e nella definizione della atmosfere appare assolutamente originale anche se Martini coglie ovunque gli sia possibile - mostre, pubblicazioni, pubblicità, calchi medianici - spunti e suggestioni per dare vita a un universo che ha pervaso l’immaginario di intere generazioni: La discesa nel Maelstrom, Valdemar, il Re peste, Lionnerie, L’uomo della folla, il Corvo, Hop Frog, Hans Pfaall, La maschera della morte rossa o il Gatto nero. In Italia a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento erano uscite pubblicazioni dei racconti dello scrittore americano accompagnate da sporadiche illustrazioni.

 

In mostra si ricordano, con disegni e libri esposti, alcuni autori che nel contesto internazionale e locale sicuramente hanno contribuito a definire le scelte di Martini; Édouard Manet con il disegno di un corvo ad ali spiegate realizzato nel 1875 per la traduzione di Mallarmé del poema “Le Corbeau”; Illemo Camelli di cui vengono pubblicati a inizi Novecento alcuni disegni per il racconto “La fine della casa Usher” e successivamente per “Morella”; e poi Gaetano Previati che alla Biennale del 1901, ove Martini esporrà La secchia rapita, porta dieci disegni dei Racconti di Poe realizzati una decina d’anni prima, dalla personalissima interpretazione per formati e resa.

L’incontro tra Martini e Poe era dunque solo questione di tempo.

 

La scrittura di Poe illumina improvvisamente gli spazi dell’immaginazione martiniana arricchendola di nuove, allucinate visioni: scheletri, mostri, personaggi terrificanti. Grottesco e lugubre si rincorrono e Martini crea un linguaggio totalmente nuovo ponendosi in un dialogo ideale con Poe. Entrambi analizzano il dettaglio fino allo sfinimento per rivelarne significati reconditi; entrambi amano l’oscurità che sentono animata di demoni e fantasmi; entrambi aprono la strada all’inconscio e al doppio. L’atmosfera magnetica, metampsichica, dal sapore surrealista diventa evidente nella stupefacente carrellata di autoritratti che chiude la mostra, in particolare quelli realizzati tra il 1928 e il 1929 , L’uomo che crea, Conversazione con i miei fantasmi e L’esprit travaille: l’artista si rappresenta quale demiugo, profeta, creatore, confermando la sua estetica di natura alchemica ed esoterica, allora in gran voga in Europa. Martini in effetti si muove tra visionarietà e sogno cogliendo nella realtà gli aspetti di enigma e di mistero.

 

La mia vita è un sogno a occhi aperti. Il sonno è un sogno a occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà” scrive nella sua biografia. E ancora : “...Una notte senza stelle, in quel rettangolo nero mi vidi come in uno specchio. Mi vidi pallido, impassibile. E’ la mia anima, pensai, che ora specchia il mio volto nell’infinito e un giorno l specchiò chissà quali mie sembianze, perché se l’anima è eterna non ha né principio né fine e noi non siamo ora che un suo differente episodio terreno. E questo pensiero rivelatore mi turbava [...]”.

 

Dopo gli anni parigini, ove si trasferisce nel 1926 sentendosi incompreso in Italia, alle soglie della guerra e in ristrettezze economiche, Martini nel 1934 torna a Milano. Si spegnerà l’8 novembre 1954 (di quello stesso anno è l’ultimo autoritratto in mostra, il suo testamento spirituale La finestra di Psiche nella casa del poeta), straordinario portavoce delle più oscure urgenze e delle tensioni esistenziali della prima metà del Novecento.

 

La mostra ha il patrocinio di: Provicia di Treviso, Comune di Oderzo e Fondazione ETS Italia Patria della Bellezza il patrocinio e il contributo: Confindustria Veneto Est Main Sponsor delle Celebrazioni: Bioenologia 2.0 con il sostegno di: Banca Prealpi San Biagio Credito Cooperativo Partner delle celebrazioni: Hibou, Grafiche FG, Gallo Pubblicità, Reichsteiner, Global Interior e Voilà Banqueting Sponsor della mostra: 3B Spa, Erco, FormaUBis, Sam Visuals, Zorzetto Mario Srl, VRG Impianti, Pointhouse Organizzazione generale: Villaggio Globale International

 


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