Non è più un reato la pausa caffè in orario di lavoro
La Cassazione assolve i due dipendenti comunali beccati fuori dall'ufficio. Pare che al bar si diventi più creativi e che davanti alla macchinetta nascano le idee di lavoro migliori
NORDEST - Assimilati fino all’altro giorno ai furbetti del cartellino, i “caffeinomani” hanno ottenuto la loro rivincita: non è reato - secondo la Cassazione - andare al bar durante il lavoro (ma non a ogni ora del giorno). Lo smartworking, entrato con la prepotenza del Covid, ha convinto evidentemente a rivedere stereotipi consolidati. Come quello dell’assenteismo da pausa caffè. Piuttosto che se ne stiano a casa tutto il giorno (e con moke di caffè a ciclo continuo), meglio chiudere un occhio sulla pausa al bar o alla macchinetta. E magari anche l’altro (di occhio) se le capatine sono più di una.
Ad ogni buon conto, al terzo grado di giudizio l’hanno avuta vinta i due dipendenti comunali che qualche anno fa, quando ministro all’anti-assenteismo era Renato Brunetta, furono spediti in tribunale con l’accusa di attestazione fraudolenta della presenza. Il primo lo trovarono che acquistava le sigarette (e pensare che una volta era questa una delle scuse più gettonate per scappare da casa…); l’altro invece a sorseggiare, appunto, il suo caffè di metà mattina. Fughe dall’ufficio senza timbro del cartellino. Reato che sussiste ma, dopo i primi due gradi di giudizio, mitigato se non comprovato il danno verso l’Amministrazione da parte del dipendente. Tanto è bastato per l’alzata di scudi. A difesa della pausa caffè.
Per molti è lavoro, scambiarsi idee con un bicchierino di plastica in mano, tra colleghi alla macchinetta del caffè. Momento topico autentico che le riunioni a distanza manco si sognano. C’è chi pure ci ha scritto un libro: Domitilla Ferrari, “Il pessimo capo”. L’autrice insegna Comunicazione digitale all’università di Padova e della pausa caffè foriera di grandi idee è una sostenitrice della prima ora, come ha ribadito a “La Stampa”: “ Utile a farsi venire idee, stringere relazioni, chiarire dubbi in modo informale e quindi veloce”.
Il carico da novanta, nelle colonne dello stesso quotidiano, l’ha messo lo psichiatra (Paolo Crepet): “Se l’ufficio diventa una sorta di carcere dove non puoi neanche fare la pipì se no chi sa cosa succede, e dall’altra sul piatto d’argento c’è smartworking, allora le cose si mettono male. Steve Jobs elogiava le pause io cui il pensiero è libero e parlava della creatività. Che è quello spazio di lavoro non burocratizzato, non finalizzato a qualcosa. Quando parli con Giovanna e a te viene un’idea, quello è un momento d’oro”. Del quale approfittare. Magari per invitare Giovanna a prendere un (altro) caffè.