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21 dicembre 2024

OSSESSIONI E COMPULSIONI: DA UNA REALTA' SUBITA A UNA REALTA' GESTITA

Categoria: Persone - Tags: ossessioni, compulsioni, disturbo ossessivo compulsivo

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Vittoria Canuto | commenti |

 

Si presenta in studio una giovane donna con il figlio quindicenne. Entrambi sono molto belli e si intuisce subito che tra loro c'è un rapporto di comprensione e complicità. Nonostante la loro buona relazione e le numerose virtù del figlio, la madre riferisce di aver notato in Luca un'eccessiva insicurezza. Il ragazzo conferma di essere assillato dal dubbio: il dubbio di non aver messo qualcosa d'importante in cartella, di non aver preso le chiavi di casa, di aver perso soldi dal portafoglio o qualche documento importante, di non ricordarsi la frase in un libro appena letta.

Il caso è chiaro: Luca è preda dell’ossessione.

COSA SONO LE OSSESSIONI?

Le ossessioni (dal latino obsidēre, composto sto da ob = davanti e sedere = stare fermo) e le ruminazioni (dal latino rumen = gola, esofago) sono pensieri intrusivi che entrano nella mente della persona al di fuori della sua volontà. Non consistono semplicemente in eccessive preoccupazioni per i problemi reali della vita e possono essere rappresentate da immagini, idee, dubbi, o sensazioni che si ripetono incessantemente e che sono percepite come estranee, invasive ma soprattutto persistenti, fonti di ansia e angoscia.

Per placare il disagio che il dubbio gli procura, Luca inizia a ricontrollare le cose. Svuota e rimette dentro più volte i libri nella cartella e la stessa cosa fa con i documenti del portafoglio. Quando studia, ritorna sulla stessa riga 10 volte, numero magico, per lui considerato sufficiente rassicurante al fine di memorizzarla. La sua camera inoltre è immacolata: tutto è perfettamente in ordine o meglio, tutto è perfettamente sempre nello stesso ordine!

In sostanza, Luca è schiavo della compulsione al controllo.

COSA SONO LE COMPULSIONI?

Le compulsioni (dal latino compellere = costringere, contro la forza di volontà di un soggetto) sono comportamenti, azioni, pensieri o parole che la persona si sente obbligata ad eseguire in risposta ad una ossessione mentale e sono caratterizzate da ritualità, inevitabilità e irrefrenabilità. In psicologia, quando la compulsione segue un’ossessione , si parla di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Come Luca, ne soffre oltre il 5% della popolazione e, al contrario di quanto si possa pensare, non è affatto un disturbo moderno: Socrate, Alessandro Magno, Leonardo Da Vinci e Alessandro Manzoni sono solo alcuni dei personaggi noti che ne sono stati affetti.

È evidente quindi che il DOC si sviluppa a partire dalla ripetizione esasperata di un comportamento sano e corretto: controllare una volta la cartella prima di andare a scuola, o il rubinetto del gas, o lo sportello dell’auto, è segno di responsabilità. Sentirsi obbligati di ricontrollare un numero fisso di volte o fino a raggiungere una sensazione di tranquillità interiore viceversa, è indice che qualcosa non funziona. Anche in questo caso, come molte altre patologie, una differenza di quantità, oltre una certa soglia, si trasforma in una differenza di qualità.

Attraverso una sequenza di domande e di ristrutturazioni, faccio sentire a Luca che il motivo per cui si sente costretto a compiere il rituale del controllo è il bisogno di essere rassicurato rispetto alla propria realtà, lo stesso motivo per cui molte persone tirano la maniglia dello sportello dell’auto dopo averla chiusa, o le donne in cucina guardano la manopola del gas dopo averlo spento. Luca infatti, conferma di smettere di controllare quando raggiunge una sensazione di tranquillità interna. Ma il bravo ragazzo, non si limita a ritornare sulle cose che ha appena fatto: pretende che anche la mamma lo aiuti a controllare se in cartella c’è tutto, i documenti sono in ordine e i soldi sono al loro posto vietandole al contempo di toccare le cose che ha nella mensola di camera sua per impedirle di spostarle.

LA RICHIESTA D’AIUTO, VA SEMPRE ASSECONDATA?

Nel DOC, oltre all’evitamento delle situazioni, una delle tentate soluzioni messe in atto dai pazienti per fronteggiare la paura è la richiesta d’aiuto. Il paziente può chiedere di controllare se il rituale è stato fatto bene, può pretendere che anche gli altri facciano o evitino di fare qualcosa (per esempio pretendere che le mani vengano lavate con una certa frequenza o che si eviti di toccare le maniglie delle porte) o semplicemente può richiedere una rassicurazione verbale. Quest’ultima tentata soluzione è tipica dei bambini dai quali spesso ci si sente chiedere “Sono stato bravo? Secondo te l’ho fatto bene?”

Viene naturale dare sostegno a qualcuno, soprattutto se chi lo chiede è il proprio figlio. Ma il semplice atto o la conferma verbale, veicolano solo il messaggio “ti aiuto perché ti voglio bene”? Purtroppo no. Un secondo messaggio, subdolo ma molto più potente, agisce in sordina. Infatti, accettando di essere coinvolti nel rituale si conferma l’idea che c’è affettivamente qualcosa di cui avere paura e che il rituale fatto bene serve a sedarla. Inoltre, acconsentire sempre ad aiutare una persona ad affrontare le sue paure, impedisce al paziente di sentire quanto è invalidante il suo problema privandolo al contempo della spinta necessaria per venirne fuori. La paura infatti, o la si supera in prima persona o non la si supera mai.

Indagando ulteriormente sulla questione, emerge anche che i rituali di controllo di Luca sono diventati l’argomento centrale su cui ruotano le conversazioni famigliari.

COME INTERVENIRE SUL PROBLEMA?

Secondo l’approccio di terapia breve strategica, il primo passo da muovere verso la soluzione di un problema consiste nel togliere il coinvolgimento dei famigliari. Nonostante le loro migliori intenzioni infatti, aiutando Luca la madre finisce per alimentare il problema del ragazzo. Le prescrivo quindi di osservare il figlio senza intervenire in alcun modo e di evitare assolutamente di rassicurarlo qualora Luca avesse chiesto la sua approvazione. In famiglia inoltre devono adottare la congiura del silenzio rispetto al problema che non dovrà più essere il fulcro attorno al quale ruotano le conversazioni. Prima di dare queste indicazioni però, faccio sentire alla coppia quanto è pericoloso offrire aiuto nei casi di doc e quanto questo ragionevole comportamento in realtà possa portare il disturbo ad essere totalmente invalidante. In altre parole, offro a Luca una paura più grande per permettergli di accettare il rifiuto della madre di aiutarlo. A Luca inoltre prescrivo di stilare due liste: una dei rituali che compie durante il giorno e l’altra delle cose che evita o delle precauzioni che adotta.

A COSA SERVE LA PRESCRIZIONE DELLA LISTA DEGLI EVITAMENTI E DELLE PRECAUZIONI?

L’uso delle liste per il trattamento dei DOC è uno strumento molto utile in quanto permette al paziente di realizzare quanto tempo della giornata gli portano via i rituali aumentando la sua reazione avversiva verso il disturbo e, di conseguenza, la collaborazione terapeutica.

Nel sedute successive, ho condotto Luca a comprendere quanto i suoi rituali rispondessero a due bisogni differenti: quello di prevenire che qualcosa possa andare storta (ricontrollare cartella, portafoglio ecc.) e quello di propiziare che le cose vadano bene (collocare gli oggetti di camera sua in una posizione precisa).

QUALI SONO LE TIPOLOGIE DI RITUALE IN UN DOC?

I rituali possono essere classificati in tre categorie, a seconda della funzione che svolgono:

Rituali Preventivi
   Vengono fatti prima per prevenire che accada qualcosa di temuto.

Rituali Riparatori
   Vengono fatti dopo per riparare a qualcosa che è accaduto.

Rituali Propiziatori
   Vengono fatti per propiziare che accada o non accada qualcosa.

A questo punto, l’intervento strategico può essere mirato ai rituali. Così, prescrivo a Luca il controrituale sul controllo, dicendogli che può ricontrollare ma se lo fa una volta, obbligatoriamente deve ricontrollare per cinque volte, né una di più né una di meno. Certo, può scegliere di non ricontrollare ma se lo fa una volta, lo deva fare per altre cinque volte, né una di meno né una di più.

A COSA SERVE IL CONTRORITUALE?

Gli effetti che si ottengono attraverso la prescrizione “se fai uno, fai 5” sono di due tipi. Prima di tutto si toglie il potere all’ossessione e la si restituisce al paziente che ne assume il controllo. Non è più quindi l’ossessione che comanda e che obbliga a mettere in atto i rituali ma è il paziente che decide se farli o meno. Secondariamente, aumentando nelle sedute successive il numero di ripetizioni, il rituale si trasforma in una vera e propria tortura e il paziente finisce per scegliere di non metterlo in atto. Inoltre, soprattutto nel caso dei rituali preventivi e propiziatori, verificare che l’evento temuto non è accaduto nonostante non sia stato messo in atto il rituale, porta gradualmente a scalfire la credenza rompendo l’associazione tra rituale - evento temuto/propiziato.

Dopo aver estinto la maggior parte dei rituali di controllo, è stato affrontato quello propiziatorio del riordino e ho prescritto a Luca di scegliere un oggetto diverso ogni giorno e di lasciarlo da riordinare o, se preferiva, di metterlo fuori posto dopo aver riordinato, aumentando il numero degli oggetti in disordine nelle sedute successive. L’effetto ottenuto è stata una valanga di disordine o meglio, di un modo differente di mettere ordine.

L’esposizione di questo caso clinico dimostra come, nell’arco di sei mesi circa, un disturbo altamente invalidante e strutturato come il DOC, possa essere non solo affrontato ma risolto in tempi relativamente brevi se si utilizzano sapientemente gli strumenti che portano prima a interrompere il coinvolgimento che alimenta la patologia e poi ad impossessarsi dei rituali e a saturarli per farli crollare su se stessi. Alla fine del percorso terapeutico Luca è tornato padrone della sua vita, libero di disporre del tempo che prima veniva occupato dalle compulsioni.

E.M. Cioran diceva che per gli ossessionati non c’è scelta, poiché l’ossessione ha già scelto per loro. A meno che, aggiungo io, gli ossessionati non scelgano di ossessionare le loro ossessioni, passando da una realtà subita ad una realtà pienamente gestita.
 



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