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04 ottobre 2024

"DIRE" è "FARE CON LE PAROLE"

Categoria: Persone - Tags: comunicazione, psicologia, Problemi di coppia, Comunicazione Patogena

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Vittoria Canuto | commenti |

Immaginate questa situazione.

Una giovane donna, ad ogni anniversario di matrimonio riceve un mazzo di fiori dal marito. Quest'anno per la prima volta il suo sposo se ne dimentica. Dispiaciuta dell'accaduto gli si rivolge dicendogli: 

"è evidente che non sono più tanto importante per te se dopo soli cinque anni di matrimonio ti dimentichi già del nostro avversario".

Provate a pensare. Come vi sentireste se vostra moglie, vostro marito, il vostro fidanzato o la vostra fidanzata sentenziasse in maniera tanto perentoria una vostra indiscutibile dimenticanza? Ma soprattutto, come reagireste? Non dubito che la sensazione di essere accusati vi infastidirebbe e vi indisporrebbe al dialogo. 

Considerate ora la stessa situazione ma immaginate che la moglie faccia notare il suo disappunto al marito dicendogli:

"per la prima volta in cinque anni ti sei dimenticato del nostro anniversario di matrimonio. Sono io che mi sto trascurando non meritando le tue attenzioni o in questo periodo hai molti pensieri per la testa che t'impediscono di concentrarti sul nostro rapporto?"

Certamente, questo secondo modo di introdurre l’argomento avrebbe su di voi un effetto molto differente. Probabilmente vi sentireste dispiaciuti e la voglia di appianare la situazione per ristabilire un clima sereno e di reciproca vicinanza vi indurrebbe a continuare il dialogo in direzione di un maggior contatto emotivo.

Come potete notare il tema delle due espressioni è uguale ma a seconda della modalità con cui viene trasmesso -accusatorio nel primo caso, clemente nel secondo -può generare differenti reazioni nella persona che riceve il messaggio. 

Comprensibilmente infatti, chi si sente accusato cerca di difendersi accusando a sua volta. Il conflitto diventa è inevitabile. Viceversa, la reazione nei confronti di un partner che si mostra comprensivo sarà di apertura, tesa al benessere e all’armonia della coppia.

Da questo semplicissimo esempio si può capire quanto il modo che usiamo per comunicare con gli altri fa la differenza tra il prevenire situazioni conflittuali e il crearle, tra la capacità di padroneggiare una discussione facendola diventare un punto d'incontro e il farsi portare dall'istinto dando vita a degli scontri. Se il modo di comunicare disfunzionale non è l’eccezione ma la regola con cui una persona si esprime c’è il rischio che la coppia scoppi. 

Come scriveva John Langshaw Austin infatti, parlare con un’ altra persona non significa semplicemente trasmettere delle informazioni, ma parlare vuol dire "fare con le parole". Il linguaggio che noi usiamo quindi, costruisce la realtà che andiamo a subire. La giovane moglie dell'esempio precedente attraverso il modo in cui si sceglie di rivolgersi al marito può gettare la base per un litigio o per un dialogo di reciproca comprensione.

E’ evidente, come sosteneva Paul Watzlawick che ogni atto comunicativo contiene in sé un aspetto di contenuto – cosa si dice - e un aspetto relazionale – come si dice - dove il secondo, ovvero il modo in cui l'informazione viene trasmessa, qualifica il primo. 

Sapere che la comunicazione è così importante nel costruire la realtà che subiamo però, non basta per saperla gestire. Conoscere i modi o le locuzioni verbali appropriate per esprimersi è fondamentale. Prima ancora però, seguendo l'insegnamento dell'antico stratagemma cinese "se vuoi drizzare una cosa, impara prima tutti i modi per poterla storcere di più" è indispensabile sapere cosa evitare di dire o come evitare di esprimersi per non creare più problemi delle soluzioni cercate attraverso il confronto.

Proprio come i virus, gli elementi che danno origine ad una comunicazione patogena sono molteplici. Individuare i più minacciosi però basterà a portare un radicale cambiamento in una relazione affettiva e più in generale, in tutti i tipi di relazioni umane.

Uno dei tratti che spesso caratterizza la comunicazione all'interno di un rapporto sentimentale è la tendenza, da parte di uno dei due partner, a definire non solo com’è la relazione, ma anche a sottolineare come dovrebbe essere. Se in certe situazioni analizzare e discutere a livello razionale su sensazioni e sentimenti può essere funzionale, la ridondanza di questo tipo di precisazione ha l’effetto del sovradosaggio di un farmaco: avvelena la relazione. Il partner che si sente continuamente puntualizzare i confini dentro cui si deve muovere, sarà spinto da un sentimento d’irritazione a sconfinare. Questo è il tipico caso in cui la volontà di controllare i sentimenti, che di per sé sono spontanei, crea l’effetto completamente opposto. Sono le situazioni paradossali in cui l’eccesso di controllo fa perdere il controllo.

Un altro elemento patogeno della comunicazione riguarda la modalità con cui si fa notare un errore o una mancanza a qualcuno. Capita spesso, infatti, che le persone, quando devono recriminare qualcosa, si elevino automaticamente a giudice che emette una sentenza di colpevolezza. “Tu hai fatto o tu hai detto, tu non hai fatto o tu non hai detto”. Il dito viene puntato sulla persona e questo purtroppo distoglie l’attenzione dai contenuti della questione che sono gli unici sui quali è possibile trovare un accordo per risolvere la situazione. Questo modo di esprimersi che spesso è un automatismo di cui non ci si rende nemmeno conto, ha l’effetto di generare un comportamento difensivo e di ribellione nella persone che si sente accusata. Per  esempio, si può far notare al proprio compagno che si è dimenticato di spegnere il riscaldamento quando è uscito di casa, in modi differenti. Riprendere qualcuno in modo funzionale significa centrare la comunicazione sul fatto che è argomento di discussione: "stamattina uscendo ti sei dimenticato di nuovo di spegnere il riscaldamento. So che prima di andare al lavoro hai mille pensieri in testa, ma visto che non possiamo permetterci inutili sprechi, posso aiutarti in qualche modo perché la prossima volta tu te lo possa ricordare?"

Una comunicazione disfunzionale invece, elude dal tema della discussione per andare a colpire direttamente la persona: "sei sempre il solito, non spegni mai riscaldamento quando esci. E poi ti lamenti se facciamo fatica ad arrivare a fine mese".

Rinfacciare al partner di essere responsabile del proprio dolore e della propria sofferenza con il suo comportamento è un’altra mina comunicativa che, se non fa saltare la relazione, genera sicuramente un rapporto di complementarietà patologica. Assumere il ruolo di vittima, infatti, legittima l'altro a fare l'aguzzino. Provate a riflettere. Se la vostra donna vi incolpa di essere causa della sua sofferenza, subite le accuse o mi viene da ribellarvi aggredendola? Naturalmente immagino che il vostro istinto sia quello di difendermi attaccandola. Questa modalità comunicativa purtroppo crea un circolo vizioso in cui la vittima genera il suo aguzzino che a sua volta, mediante la sua reazione, spinge ad avere un comportamento ancor più vittimistico.

L’elemento che meno tolleriamo del modo in cui si esprime la gente però, credo sia senz’altro il moralismo. Il moralista è la tipica persona che è convinta di avere il diritto di sentenziare su cosa è giusto fare o non fare, cosa è giusto dire e cosa invece è meglio tacere, dettando regole su come è più opportuno comportarsi. Anche senza esempi, immagino possiate percepire la reazione di ribellione che una comunicazione impostata sulla predica è in grado di generare. A nessuno piace sentirsi comandare, soprattutto all’interno di un rapporto sentimentale che dovrebbe essere costruito sull’unione di due distinte libertà.

Oltre a queste forme disastrose della comunicazione, vi sono altri atti comunicativi che, seppur minori, possono portare ugualmente all’allontanamento del partner. Sono quelle locuzioni verbali che spesso caratterizzano e colorano il nostro modo di esprimerci e di cui ignoriamo il significato subliminale. Un “te l’avevo detto” rivolto ad un individuo che è già arrabbiato di suo, non fa altro che trasmettergli il messaggio “hai sbagliato perché non mi hai ascoltato”, infastidendolo ancora di più. L’uso smodato degli avverbi sempre e mai, “sei sempre distratto”, “non fai mai la cosa giusta”, sposta l’attenzione dalla situazione che non va bene alla persona, finendo per squalificare l’individuo al posto di farlo focalizzare sull’errore commesso. “Lo faccio solo per te” più che alleggerire fa pesare all’altro quello che facciamo per lui e un “lascia faccio io” può generare sensazioni di incapacità.

Chiaramente una comunicazione per essere patogena deve essere caratterizzata dall’uso ridondante delle espressioni verbali disfunzionali che abbiamo appena visto.

Quando si è in relazione, troppo spesso si parla senza tener conto degli effetti che può avere il nostro modo di esprimerci e di porci nei confronti degli altri. Siamo molto più responsabili di ciò che “subiamo” di quanto crediamo e questo perché, il linguaggio verbale e paraverbale crea la realtà che viviamo. Quindi, sarebbe più opportuno gestire la comunicazione per controllarne gli effetti che sottovalutarne la potenza subendone le conseguenze.

Frequentemente, quando c’è un problema di coppia, mi capita spesso di vedere in terapia i partner che lottano all’ultimo sangue pur di vincere lo scontro verbale che è in corso, sfoggiando tutto il repertorio delle locuzioni patogene che conoscono.

Quello che si ignora, dal mio punto di vista, è che qualsiasi tipo di relazione affettiva, è da considerarsi un gioco a somma diversa da zero. Per star bene non può mai esserci un vincitore e un vinto +1 + (-1) = 0, ma si vince + 1 + 1 = 2 o si perde insieme -1 + (-1) = -2, perché il bene dell’uno è il bene dell’altro. Se ogni persona cominciasse a riflettere su questo, probabilmente starebbe più attenta al modo in cui esprime i suoi punti di vista perché in fondo, la realtà che viviamo altro non è che il linguaggio che usiamo per comunicarla e comunicarcela.

Vittoria Canuto

 



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