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28 marzo 2024

Trivelle si! Trivelle no!

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Alberta Bellussi | commenti |

Trivelle si! Trivelle no!

Il 17 aprile saremo chiamati a votare il Referend sulle trivellazioni in Adriatico e pochi lo sanno, non solo pochi sanno anche di cosa si tratta. Abbiamo uno strumento democratico come il Referendum ed è giusto che lo usiamo esprimendo la nostra posizione che raggiunge il quorum andrà a influenzare le scelte politiche future. Io sono dell'idea che prima di esprimere un opinione su argomenti importanti e impegnativi è giusto e corretto prima informarsi, studiare, leggere e poi di conseguenza farsi la propria idea.

In questo articolo vorrei provare a dare un informazione semplice ma completa delle varie sfaccettature che questo argomento così delicato tocca.

Il referendum anti trivelle riguarda solo le attività petrolifere presenti nelle acque italiane, ovvero entro 22 km dalla costa, quindi non quelle sulla terraferma né in acque internazionali. Ci verrà chiesto: volete fermare i giacimenti in attività quando scadranno le loro concessioni? Se vinceranno i sì, saranno bloccate. Se vinceranno i no, continueranno a estrarre petrolio e metano.

In realtà dietro i tecnicismi dell’unico quesito che gli italiani troveranno sulla scheda elettorale, si cela un dibattito che coinvolge il futuro modello di sviluppo energetico del nostro Paese: meglio continuare a sfruttare gas e petrolio, o meglio investire in energia rinnovabile?

Sono nove i consigli regionali che hanno proposto i quesiti referendari: Basilicata (capofila), Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. In origine i quesiti erano sei e cinque sono stati superati dai provvedimenti compresi nell’ultima legge di stabilità e altri bocciati dalla Corte Costituzionale.

Il Veneto è una delle regioni promotrici e il presidente Luca Zaia ha sottolineato la necessità di lottare contro lo sfruttamento petrolifero dell’Adriatico, che potrebbe provocare enormi danni al nostro ambiente e all’economia turistica costiera. Dall'altro lato ci sono gli industriali, consapevoli della necessità di usare la massima cautela a tutela dell’ambiente e dell’industria del turismo veneto, ma restii a schierarsi contro le trivellazioni temendo gravi danni a un sistema che importa il 40 per cento dell’energia necessaria, in realtà la soluzione si trova puntando sempte di più sulle rinnovabili. Attualmente il settore dell'energia fossile italiana ammonta a 84,8 milioni di tonnellate di petrolio e 53.713 milioni di metri cubi di gas naturale. I pozzi in attività sono 886: la loro produzione contribuisce per 4,5 miliardi alla riduzione della bolletta energetica nazionale e garantisce circa 13 mila posti di lavoro. I motivi del sì e no spiegati in modo molto sintetico.

LE RAGIONI DEL SÌ

1) Rischi per la fauna
Per la scansione dei fondali viene utilizzato l’air gun, spari di aria compressa che generano onde che “leggono” il sottosuolo. Alcuni cetacei e alcune specie di pesce vengono danneggiati con lesioni e perdita dell’udito a causa dell’air gun.

2) Ci guadagnano solo i petrolieri
Per estrarre petrolio le compagnie devono versare dei “diritti”, le cosiddette royalties. Ma per trivellare i mari italiani si pagano le royalties più basse al mondo: il 7% del valore di quanto si estrae.

3) Il gioco non vale la candela
L’incidente è comunque possibile e in un mare chiuso come il Mediterraneo il disastro ambientale sarebbe amplificato. Inoltre la trivellazione non risolverà i nostri problemi energetici: le riserve certe nei mari italiani equivalgono a 6-7 settimane di consumi nazionali di petrolio e 6 mesi di gas.

LE RAGIONI DEL NO

1) Perdita di investimenti e posti di lavoro
Smettere di usare gli impianti entro le acque territoriali italiane significherebbe perdere gli investimenti fatti fino a oggi e quelli futuri. Oltre che a migliaia di posti di lavoro.

2) Fabbisogno energetico
Secondo le stime il petrolio presente nei mari italiani sarebbe pari a 700 milioni di tonnellate. Il nostro consumo attuale all’anno è 58 milioni di tonnellate. Nel 2014 sono stati importati 54 milioni di tonnellate. Avere fonti energetiche nostre ci fa spendere meno e ci mette al riparo .

Riporto di seguito l'intervista al professore Massimiliano Ferronato, di Analisi numerica, Sviluppo di modelli per la previsione delle subsidenze e dell’impatto geomeccanico dell’estrazione di idrocarburi all’università di Padova che di trivellazioni se ne intende e che spiega in modo molto esauriente cosa comporta questa attività sull'ambiente.

Geologicamente la pianura padana e la dorsale adriatica fino all’Abruzzo presentano diversi giacimenti promettenti, alcuni sfruttati dagli anni ’50. L’area adriatica è abbastanza ricca e in mare i giacimenti si trovano a una profondità tra i 1.000 e i 1.500 metri. Il gas è contenuto nei pori di una roccia molto dura che viene bucata e si succhia. L’effetto è quello di una spugna rigida: quindi, estraendo, la roccia si compatta e si realizza una deformazione che arriva alla superficie..

Questo significa che il suolo si abbassa?
Sì, è la subsidenza il fenomeno principale che si deve affrontare. Non bisogna aver paura a priori di questo movimento, perché può essere studiato e previsto. In Adriatico abbiamo conoscenza di cosa può succedere grazie all’elaborazione di modelli matematici che si applicano con ottima affidabilità. Il fenomeno è insignificante se il suolo cala di 10 centimetri in mare aperto, perché produce un impatto minimo, ma se si verifica accanto alla costa il risultato è ben diverso: un abbassamento di 10 centimetri a Sottomarina significa perdere un chilometro e mezzo di spiaggia.

Quindi meglio non trivellare?
Si deve considerare la vulnerabilità del territorio per prevedere quale sarà l’impatto e dunque decidere quando e dove trivellare. Non dobbiamo però usare un approccio ideologico: sfruttare le risorse ha un impatto importante per l’economia, sia per quanto riguarda i posti di lavoro sia, soprattutto, rispetto alla bilancia dei pagamenti.

Che confine rappresentano le 12 miglia marine?
Le 12 miglia sono un confine più sicuro per la linea di costa che subisce una subsidenza minore. Ma in mare il fenomeno è solitamente poco significativo.

E sulla terraferma?
Per trivellare in terraferma è necessario studiare caso per caso e mettere in relazione la zona interessata con la vulnerabilità del territorio. In Lombardia in passato si è trivellato a un’altezza di 50 metri sul livello del mare e il calo è stato di qualche decina di centimetri. In Polesine questo non si può fare, sarebbe devastante.

È possibile che l’attività nel sottosuolo sia causa di terremoti?
Sì, gli studi hanno rilevato un collegamento e in genere si tratta di microsismi di 1- 1,5 gradi, ma se pensiamo al terremoto che nel 2012 ha colpito duramente l’Emilia, tutti gli studi condotti hanno detto no: non esiste alcun collegamento. La trivellazione raggiunge i mille, millecinquecento metri di profondità mentre il sisma ha avuto l’epicentro a 6 km di profondità e si sa che il sisma indotto dalle trivellazioni non si può propagare oltre i 300 metri.

Spero di aver dato un quadro abbastanza esauriente sull'argomento e sul quesito referendario in modo tale che ognuno di noi possa avere delle conoscenze per esprimere la propria posizione.

E ricordo che l'Articolo 9 della Costituzione tutela il paesaggio quindi anche il mare. L'Italia è circondata dal mare e il mare è parte di noi.

#iostoconilmare#



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