BUONA DOMENICA Quando quest'anno scolastico finirà non sarà mai tardi
Rientro prima al cento, poi al sessanta, ora al settanta. Intanto nessuno risponde dei colpevoli ritardi nella soluzione dei problemi veri della nostra scuola.
TREVISO - Qui dalle nostre parti la potremmo intitolare la “storia del sior Intento che dura tanto tempo, che mai no se destriga...”. La storia è quella della scuola. Tribolata, senza requie. Descrive aule deserte in edifici spettrali. Racconta di liceali transumanti, nell’andirivieni tra la DaD e le lezioni in presenza. Che elenca cose non fatte e che si sarebbe dovuto (e potuto) realizzare da quattordici mesi a questa parte. A quaranta giorni dalla fine si decide di cominciare. Paradosso - un altro - della storia infinita. Perché siamo fermi, esattamente, al punto di partenza. Quello dell’estate passata, tempo propizio - si assicurava - per predisporre il rientro in sicurezza di settembre. Posticipato alla befana. Rinviato a Pasqua. Nella speranza probabilmente di una Resurrezione. Che a questo punto solo in un miracolo conviene fare affidamento, a cominciare dalla moltiplicazione dei mezzi di traporto e degli autisti.
Neanche le aule - che dal 26 aprile al 6 giugno dovrebbero riempirsi tra il settanta e il cento - si sono come per miracolo ingigantite e dotate di dispositivi di aerazione. Sic stantibus rebus: trova le differenze. Chi di dovere giunge anche stavolta impreparato alla verifica: dieci mesi non sono bastati a dotarsi degli strumenti e dei mezzi necessari a mettere a punto un piano dei traporti senza il quale rientrare a scuola è tuttora impraticabile? Come è pensabile un inizio di anno in sicurezza nelle immutate condizioni logistiche del sistema scolastico inchiavardato sulle classi-pollaio istituite dal ministro (di ieri e di oggi) Maristella Gelmini? Sostenere che la scuola è in cima alle priorità delle cose da fare è la promessa classica del marinaio di cui è infarcita la politica di ogni colore. Ma questo forse non è neanche un problema e giunti a questo punto può essere derubricata a incongruenza. Più grave, molto più grave, sottovalutare quanto da metà dello scorso anno patiscono i ragazze e ragazzi delle scuole superiori.
Ha scritto Massimo Recalcati su “La Repubblica” il 19 aprile scorso: “Ma adesso che la scuola riapre anche fattualmente e i nostri figli tornano ad occupare i loro posti in aula assistiamo ad uno “strano” fenomeno. Predomina un senso profondo di precarietà (tra quanto torneranno a chiuderla?) e di depressione diffusa (studiare per cosa?). È un fatto diffuso e non trascurabile: diversi di loro vivono la riapertura più con angoscia che con sollievo. Il DSM ha formulato l’ipotesi del disturbo post-traumatico di adattamento per riferirsi alla difficoltà di reinserimento sociale dopo un evento (o una serie di eventi) particolarmente stressanti. È quello che accadde, per fare un esempio, ai reduci del Vietnam: come poter ritornare a vivere con fiducia i legami sociali? Come ristabilire la fiducia nell’altro dopo che l’altro è stato vissuto come minaccia di morte potenziale? Non è questa la stessa dinamica che si sta sviluppando di fronte alle perturbazioni emotive provocate dal Covid? Come ripristinare la prossimità e la relazione se la prossimità e la relazione sono state (e, tra l’altro, tali ancora restano) fattori di rischio di contagio? Molti ragazzi non vogliono tornare a scuola e se tornano lo fanno trascinando con se stessi una profonda inquietudine. Come abbandonare una prigione che è divenuta il proprio rifugio? Riaprire i propri confini esterni ed interni non è una cosa semplice”.
Terminare un anno come era iniziato ed è proseguito probabilmente potrebbe risultare, alla fine fine, neanche così banale. Certamente molto meno del balletto del Governo e delle Regioni sulle teste di studenti disincantati e immotivati: “Apro-non apro”? “Apro tanto-apro poco?" Come nella vecchia pubblicità di una compagnia telefonica: “Ma mi ami? O non mi ami? Ma quanto mi ami?”
BUONA DOMENICA