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22 novembre 2024

Commesse

Categoria: Altro - Tags: Sisley, Kiko, commesse

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Emanuela Da Ros | commenti |

- Il dischetto per il fondotinta?

- Ce l'ho, ce l'ho. Grazie comunque.

Stamattina alla Kiko (Conè, Conegliano) ho preso una matita per labbra color prugna-secca. La carinissima commessa, alla cassa, mi ha battuto i 3.40 euro di scontrino e poi mi ha chiesto se mi mancasse un dischetto per il fondotinta.

Avremmo potuto aprire un dibattito. Io avrei potuto dirle che dentro il fondotinta, in genere, c'è sempre un dischetto e che comunque, il fondotinta si applica benissimo con le mani, un batuffolo di cotone o con della carta igienica. Lei avrebbe potuto argomentare di conseguenza, ma le nostre voci sarebbe  state inghiottite dalla musica paranormale che si respira nei negozi Kiko di un centro commerciale.

Ho evitato il dialogo impietoso.

Mamma Margherita (80 anni quest'anno), che era con me, uscendo dalla Kiko, ha sottolineato che è pazzesco lavorare in un posto così. Che stare otto ore nella pancia di un centro commerciale dove si vendono strumenti inutili come una matita per labbra color prugna-secca mentre una musica infernale ti priva del silenzio necessario a riflettere è una tortura. Mamma ha paragonato il lavoro della commessa a quello di un minatore. Perché, in effetti, riemergere da un centro commerciale illuminato artificialmente, dopo otto ore, dev'essere straziante. Sopratutto se uno/a se chiede: che ho fatto oggi?

Parentesi chiusa.

Ho aperto il post perché, non contenta del mio acquisto Kiko, oggi, con la mia figlia 24enne (salto generazionale), sono stata in un negozio di abbigliamento di Vittorio Veneto.

- Vi serve qualcosa?

- No, grazie. Diamo un'occhiata.

Ora: io capisco che il lavoro della commessa sia per molti versi ingrato. Capisco che non tutti ci sono portati, ma immagino che uno si debba adeguare e che quando due clienti entrano in un negozio una commessa debba tenere a mente che la formula/saluto da adottare per far sentire a proprio agio gli avventori sia una: Date un'occhiata? se vi serve qualcosa sono qui.

Chiedere a un potenziale cliente se abbia bisogno di qualcosa prima che abbia messo entrambi i piedi in un negozio non va. Non funziona proprio. E' come mettergli davanti il paletto che apre e chiude un parcheggio a pagamento.

Perché - diciamocelo - uno/a non entra in un negozio di abbigliamento perché gli serve qualcosa. Uno/a entra in un negozio di abbigliamento perché vuole curiosare, dare un'occhiata a un armadio che invece che ante ha vetrine. Di più: uno/a entra in un negozio di abbigliamento sperando di non trovare nulla che gli piaccia perché sa che il suo armadio già deborda di pantaloni, camicie, gonne, golf, coprispalle, copriculi, cannotte, gilet, cinture, borse, accessori che s'insinuano gli uni negli altri come formiche in una bica.

Chiedere "Vi serve qualcosa?" a qualcuno che entra in un negozio di abbigliamento è. E' stupido. Il cliente potrebbe rispondere Sì, certo che mi serve qualcosa. Altrimenti perché sarei entrato qui? Oppure: No. Non mi serve nulla. Ho solo sbagliato porta.

Le commesse certe sfumature dovrebbero percepirle. Invece, la tipa del negozio di abbigliamento in cui io e mia figlia siamo entrate (senza poi comprare nulla) alla nostra risposta si è girata (culo largo e piatto: niente di che) e si è concentrata sull'immagine riflessa di un'altra cliente che, uscita da una camerino, stava provando dei jeans.

- Le stanno proprio bene! - ha esclamato la commessa. - Ora i jeans vanno a vita alta e nel suo caso la scelta è azzeccata. Alcune stanno bene anche con i jeans a vita bassa, ma lei...lei sta bene con questi.

La cliente si è riflessa nello specchio. Si è guardata mogia. O almeno così mi è parso.

Non so se li abbia acquistati o meno. Se se li sia sfilati pensando che la vita, bassa o alta che sia, merita una seconda chance e una seconda occhiata. Non so proprio cosa sia successo, perché io e mia figlia, nel frattempo, abbiamo lasciato il guardaroba-negozio.

- Arrivederci. E grazie.

 

 

 



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