Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: "Siamo a una svolta"
"Ho in mano elementi decisivi, però ci serve la collaborazione di persone anche che lavorano in Vaticano"
ITALIA - "Siamo ad un punto di svolta. Io e l'avvocato abbiamo elementi in mano che possono aiutarci con certezza a capire che cosa è successo. Però ci serve la collaborazione di persone anche che lavorano in Vaticano, che sono a conoscenza di questo fatto, che si liberino la coscienza e che abbiamo il coraggio di non rimanere nell'anonimato. Abbiamo bisogno di loro".
A dirlo all'Adnkronos, appena prima dell'inizio del sit-in per commemorare Emanuela Orlandi - a Roma in Largo Giovanni XXIII, come ogni 22 giugno - è il fratello Pietro Orlandi, che annuncia elementi decisivi per la soluzione del caso sulla scomparsa della giovane. "Il Vaticano non vuole ascoltarci, nonostante Papa Francesco mi abbia risposto e in una lettera mi abbia esortato a condividere gli elementi a nostra conoscenza con il Vaticano", ribadisce Pietro. Che anticipa alcuni degli elementi che potrebbero essere decisivi per comprendere cosa è accaduto alla sorella quel 22 giugno del 1983.
"Uno di questi elementi consiste in alcuni messaggi Whatsapp tra due persone vicine a Papa Francesco su telefoni riservati della Santa Sede -rivela Orlandi- che parlano di movimenti legati a questa vicenda, di documentazioni su Emanuela, e dicono che ne era al corrente Papa Francesco e il cardinal Abril, che all'epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior". Il cardinale è stato più volte contattato dal fratello di Emanuela, ma senza successo. "Gli ho scritto un sacco di messaggi, ma non risponde", dice. E aggiunge: "Questa volta potrebbe essere quella giusta. Io la speranza la ho da sempre, ogni volta l'illusione si è trasformata in disillusione ma io non demordo, perché non c'è nessun potere che possa fermare la verità, anche se resta una sola persona a volerla e a pretenderla. E siccome in questo momento qui ce ne sono tante di persone, questo mi fa un immenso piacere e mi da speranza perché moltissime di queste nemmeno la conoscevano Emanuela. E dopo 39 anni, sono tutte qua". "Un giorno la Chiesa dovrà chiedere scusa, nessun potere, per quanto forte, potrà mai fermare la verità, anche se resterà solo una persona a difenderla", ha poi detto intervenendo al sit in a Roma a 39 anni dal rapimento della sorella.
“Non ho le prove di cosa hanno fatto, ma chi continua a nascondere le cose per 39 anni è complice, così come quella manovalanza che quel giorno ha preso Emanuela – ha aggiunto -. Sta a loro fare un passo avanti, noi più che dire ‘abbiamo prove, convocateci’ che possiamo fare. Ma non ci convocano”. "Sono convinto che Emanuela è stata usata come un oggetto di ricatto, che nessuno deve conoscere, un ricatto che è ancora in atto nei confronti di qualcuno. Non possono permettersi che esca la verità perché crollerebbe tutto – ha concluso Pietro Orlandi -. Ma gli ha detto male, perché siamo ancora qui e non mi sposterò".