Perdere la salute insegnando: dal cancro al seno, alla depressione con manie suicide
Le diverse e anche gravi malattie professionali che colpiscono gli insegnanti e di cui poco o nulla si dice
TREVISO - Di burnout e stress da lavoro correlato è uno tra i più accreditati specialisti. Se ne occupa da trent’anni, Vittorio Lodolo D’Oria, medico e ricercatore. Ha scritto articoli e libri. E da tempo si dedica ai presunti maltrattamenti a scuola: 65 le storie che ha raccolto, un archivio che più copioso in Italia non c’è. “Ho iniziato la ricerca supponendo che le violenze fossero perpetrate da maestre sclerate ma questa è una categoria che è stata inventata con la drammatizzazione del fenomeno soprattutto da parte dell’autorità giudiziaria”.
In che senso, dottore?
In nessun altro paese, solo in Italia si spettacolarizzano casi presunti di maltrattamento da parte degli insegnanti: telecamere, processi verbali. Dei non pochi casi di cui mi sono occupato, nutro qualche sospetto per uno soltanto.
Stress e depressione però sono malattie “reattive” abbastanza diffuse tra i docenti.
Uno studio del 2002 sull’inidoneità all’insegnamento ha riconosciuto che il 92% delle patologie ansioso depressive è ascrivibile allo svolgimento delle mansioni lavorative.
Insomma non si ammalano di sole raucedine e cordite maestre e professori
La disfania è una malattia residuale. Ce ne sono di ben più gravi e conseguenti alle patologie psichiatriche.
Ad esempio?
Il cancro al seno: è la malattia più diffusa tra le insegnanti, che rappresentano l’83% del corpo docente. Lo stress produce quantità abnorme di cortisolo che abbatte le difese immunitarie, senza le quali viene meno il controllo delle cellule plastiche.
Se ne sente parlare poco…
Questo è il punto: le malattie del corpo docente non vengono riconosciute. E la responsabilità è degli insegnanti che sono i primi a escludere la correlazione.
Perché?
Perché ci cascano sempre con l'avvalorare lo stereotipo del docente che lavora solo mezza giornata e fa tre mesi di vacanza. Mica potrà ammalarsi uno così! Che poi, tre mesi di vacanza… Io la chiamerei convalescenza.
Non è che magari una maestra o un professore depressi o con altri disturbi psichici temono lo stigma e piuttosto di riconoscere il problema tirano dritto?
Per affrontarlo magari in tarda età, quando però è troppo tardi. I casi clinici sono andati aumentando di pari passo alle diverse riforme del sistema pensionistico e previdenziale, dai baby pensionati alla riforma Fornero: con l’innalzamento dell’età per la quiescenza si sono prodotti degli effetti preoccupanti.
Solo in Italia?
No: in Germania, nel 2015, l’ottanta per cento dei pensionamenti era su base psichiatrica. In Francia è stato riscontrato che i professori sono la categoria professionale più esposta al rischio di gesti suicidari. Da noi invece si tace. Perché sa cosa succederebbe se il ministero fornisse i dati che da anni chiedo sulle inidoneità/inabilità lavorative per motivi di salute?
Che cosa?
Riconoscere la patologia professionale significa rimettere mano al sistema previdenziale. Ma vorrebbe dire poter iniziare finalmente a fare anche prevenzione, aiutando gli insegnanti a smettere di dissimulare disagi, fatiche e sofferenza.
Perché è cosi pesante la professione docente?
Perché è tutta centrata su una relazione personale più unica che rara con l’utenza: entrare in aula ogni mattina è come sottoporsi a una risonanza magnetico-nucleare da parte degli studenti.
Prevenire le malattie professionali si può?
Prima bisognerebbe riconoscerle. Per poi investire: il decreto 81 del 2008 sulla tutela dei dipendenti sul luogo di lavoro contempla di impiegare risorse; nella scuola al momento si sono spesi zero euro per fare prevenzione.