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29 marzo 2024

Siamo il Paese dell'olio d'oliva o no?

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Alberta Bellussi | commenti |

Siamo il Paese dell’olio d’oliva o no?
Vergine, extravergine, biologico e a denominazione di origine protetta.
È una delle eccellenze del Made in Italy, uno dei simboli della nostra produzione agroalimentare, protagonista della dieta mediterranea e del nostro stile di vita. Una ricchezza strategica per tutto il Paese. Basta pensare che la produzione olearia italiana interessa oltre 150 milioni di piante distribuite su una superficie di 1.165.450 ettari. Un sistema che occupa oltre 700mila aziende agricole, quasi 5mila frantoi e 220 imprese industriali. L’Italia può contare su oltre 40 denominazioni di origine protetta, in Europa nessuno è come noi. Siamo il secondo produttore mondiale di olio d’oliva e il terzo produttore europeo di olive da tavola. Solo nel 2014 il nostro Paese ha prodotto 483mila tonnellate d’olio, pari a un fatturato di 3,3 miliardi di euro. L’olio extravergine italiano è un prodotto unico al mondo, il solo a vantare tante varietà e tipologie. Eppure siamo il primo importatore mondiale di olio.

In parte è una questione fisiologica. Secondo i dati raccolti dalla commissione parlamentare, il consumo interno di olio d’oliva raggiunge in media le 600mila tonnellate l’anno - senza considerare il prodotto che viene esportato - a fronte di una produzione di circa 400mila tonnellate. Ma soprattutto lo importiamo per le decisioni di Bruxelles. E’ definitivo: 35 mila tonnellate di olio d’oliva tunisino giungeranno in territorio europeo senza dazi. A dare l’ok finale a questa “sciagura” per l'Italia, è stato il Parlamento europeo che, con 500 voti favorevoli ha dato l'ok a questa operazione.

Ma siamo sicuri che stiamo aiutando la Tunisia facendo entrare il loro olio?
Il Parlamento europeo non ha perso tempo a votare un provvedimento inserito di fretta e furia nell’agenda dell’ordine del giorno, precludendo di fatto qualsiasi altra negoziazione volta limitare gli effetti derivanti da questa decisione. Una decisione che vede, tra i promotori e sostenitori, lo stesso capo della diplomazia Ue Federica Mogherini, convinta di aver così giovato alla stabilità politica della Tunisia nella lotta al terrorismo.

Peccato però che le difficoltà reali si vedranno nei bilanci del settore agricolo sempre più in crisi: gli agricoltori italiani ormai da anni subiscono, senza tutele, la concorrenza sleale di prodotti esteri di scarsa qualità, coltivati con costi di manodopera inferiori rispetto a quelli italiani. Dalle arance marocchine che hanno costretto agricoltori catanesi a svendere addirittura quelle siciliane ad 8 centesimi al chilo o a lasciarle marcire sulla pianta, fino all’olio tunisino che andrà a distruggere sempre di più il Made in Italy e la produzione nostrana. E poi possibili danni per la salute dati i prodotti chimici che da noi sono vietati da anni e in Tunisia si possono ancora usare.

Cosa ne sarà del prodotto italiano?
Oltre che la ricaduta economica ci sarà anche un grande aumento delle frodi che in questo settore sono già molto elevate. E proprio qui nascono i problemi. Il basso costo delle materie prime estere è uno dei fattori di rischio e di crescita della diffusione delle frodi, dal momento che l’attribuzione illecita della qualità di extra-vergine o vergine e di un’origine nazionale ad un olio meno pregiato e con caratteristiche organolettiche di categorie inferiori, consente di lucrare ampi margini di guadagno. Le frodi e le sofisticazione legate all'olio sono tantissime

Tra le pratiche più diffuse c’è il cosiddetto “olio di carta”. Si tratta di produzioni fittizie di olio extravergine, supportate da false fatturazioni, attraverso cui si introducono nel nostro Paese oli d’oliva stranieri che sono in tal modo inseriti tra le produzioni extravergini italiane ed immessi in commercio come oli di origine italiana. Oppure l’uso di “olio deodorato”, uno degli illeciti più frequenti. È un processo di lavaggio degli oli di bassa qualità, spesso in cattivo stato di conservazione, che elimina difetti sensoriali del prodotto come il cattivo odore, il gusto acre e l’eccessiva acidità. Il tal modo olio d’oliva, spesso di origine non italiana, è immesso fraudolentemente in commercio come olio extravergine di oliva al 100 per cento Made in Italy.

Gli illeciti proseguono.
Mentre noi ci poniamo queste domande gli eurodeputati italiani che hanno votato a favore del provvedimento, ottengono oltre all’obbligo di tracciabilità dell’olio tunisino, anche una valutazione a medio termine dell’esecutivo Ue, per verificare eventuali danni ai produttori europei. Ciò significa che il rischio di creare danni ai produttori europei è già insito nel provvedimento approvato dalle istituzioni europee.

Il Regolamento (CE) 182 del 6 marzo 2009, che modifica il Regolamento (CE) 1019/2002, ha imposto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle olive impiegate per produrre l’olio extravergine di oliva in tutti i Paesi europei, garantendo ai consumatori trasparenza nelle scelte di acquisto e di fatto ponendo potenzialmente un argine alle numerose truffe con le quali olio etichettato come made in Italy risultava in realtà ottenuto da miscugli di olio spremuto da olive spagnole, greche e tunisine, senza alcuna informazione chiara e trasparente. Questo regolamento risulta però tutt’oggi privo di una metodologia ufficiale utilizzabile per verificare e validare l’area di origine degli oli extravergini di oliva. E la decisione europea non aiuterebbe a fare chiarezza. Eppure in Italia va sempre bene tutto. Chi si trova il problema si deve alzare le maniche e provare ad andare avanti. Non c'è una politica di programmazione dei vari settori che li tuteli si va un po' come i comportamentisti per tentativi ed errori sulla pelle altrui però.



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