A Treviso si smette di cercare lavoro perché si è troppo scoraggiati
Massimiliano Paglini, segretario provinciale della Cisl, lancia l'allarme: "C'è stato un crollo delle assunzioni nel 2020, quindicimila in meno rispetto all’anno precedente"
TREVISO - Si sa che quello pandemica non è solo emergenza sanitaria. E che quella economica e occupazionale è non meno grave. Anche nella Marca tanti, troppi sono stati i posti di lavoro persi così come imprese, ditte e locali che hanno dovuto abbassare le serrande. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Paglini, da qualche mese segretario generale Cisl Belluno Treviso.
La pandemia ha acuito la crisi e non demorde: si sono persi tantissimi posti di lavoro. Quanti in provincia di Treviso?
I dati di Veneto Lavoro indicano una chiusura 2020 con saldo positivo di 1350 posti di lavoro. Il dato però non inganni, perché è nettamente inferiore rispetto al consuntivo 2019, quando il rapporto tra contratti di lavoro avviati e terminati era pari a 5.209 unità. Possiamo dunque dire di aver perso quasi 3.900 posti di lavoro in un anno in provincia di Treviso. L’aspetto preoccupante è soprattutto il crollo delle assunzioni nel 2020: 15mila in meno rispetto all’anno precedente, un quarto in meno, percentualmente.
Quali i settori più interessati?
La Marca rispecchia l’andamento del Mercato del Lavoro in Veneto: gli effetti della pandemia, del lockdown e delle restrizioni si sono scaricati soprattutto sull’occupazione temporanea, in particolare quella a carattere stagionale, legata al turismo, e sui contratti a tempo determinato, che non sono stati rinnovati. La crisi sta dunque colpendo duro i lavoratori con contratti flessibili e le donne, mettendo un’ipoteca sul futuro dei giovani, i dati nazionali sulla crescita della disoccupazione lo testimoniano.
Altri ambiti occupazionali in fatica?
In difficoltà sono anche il commercio al dettaglio, i trasporti, l’editoria e la cultura. Ci sono settori che vanno in controtendenza, probabilmente anche a causa del cambio di abitudini dei consumatori: il legno e il settore degli elettrodomestici ad esempio stanno assumendo. La manifattura e il metalmeccanico tengono, mentre il Made in Italy, in particolare l’occhialeria e il sistema moda, sono in sofferenza e continuano a ricorrere alla cassa integrazione.
Che cosa è necessario fare?
Uno dei dati che maggiormente ci allarma è la diminuzione del 17% delle dichiarazioni di immediata disponibilità, ovvero la dichiarazione che determina formalmente l’inizio dello stato di disoccupazione di un lavoratore. Il che non significa che nel 2020 sia diminuita la disoccupazione nella Marca, ma che le persone sono così scoraggiate che rinunciano a cercare lavoro. Per questo è da subito necessario attivare un piano straordinario per le politiche attive, mettendo in campo progetti per avviare i dipendenti delle imprese in crisi verso quei lavori che non si riescono a coprire per mancanza di profili adeguati. Occorre investire sulla riqualificazione e sulla formazione continua per tornare a far incrociare domanda e offerta.
La Cisl su cosa sta lavorando e per cosa si batterà nelle prossime settimane e mesi?
Chiederemo alle istituzioni che si avvii un tavolo provinciale a Treviso come a Belluno, lo chiamerei Treviso2050, con le migliori energie e le migliori competenze per progettare la ripartenza e il post-emergenza. Dobbiamo disegnare tutti assieme il post pandemia, dare vita a un nuovo modello di sviluppo dove sostenibilità ambientale, coesione sociale, lotta alle disuguaglianze e occupazione siano l’architrave dei prossimi 30 anni.
Il Paese sarà in grado di uscirne?
Se saprà mettere da parte particolarismi, campanilismi, con una politica che rimetta al centro il bene comune e non l’interesse elettorale di breve termine, penso di sì. La figura di Mario Draghi, a mio avviso, potrebbe rappresentare la sintesi per un nuovo modo di stare assieme, di essere comunità. Non più gli interessi particolari, ma la visione lunga e di insieme.