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28 marzo 2024

50 anni fa la grande alluvione!

- Tags: alluvione, 66, archivio di stato, negrisia, san donà

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Alberta Bellussi | commenti |

alluvione del 66

50 anni fa la grande alluvione!

Susseguirsi di momenti e ricordi tramandati.

Mia nonna Maria, molte volte, mi ha raccontato, quella giornata del 4 novembre del 1966,  con parole che rendevano tangibile, anche dopo anni, il senso di disperazione che l’alluvione le aveva portato. Lei, giovane donna vedova, aveva cresciuto la sua bambina  facendo tutti i lavori che riusciva per rendere bella e confortevole la sua casetta di Negrisia.  Era il suo punto fermo dopo la sofferenza.

Pioveva da diversi giorni.

Il cielo rimase grigio-scuro per tutta la giornata, carico di nubi, basse e veloci spinte da Sud-Est, da un vento di scirocco tiepido ed impetuoso che soffiò  facendo sì che la piena travolgente del Piave si scontrasse contro un'alta marea mai vista prima.  Le piogge persistenti del  2 e 3 novembre, precipitate sul Nordest, dalle Alpi al mare, ingrossarono i fiumi a livelli di sei-sette metri sopra il livello di guardia.

Fu così il Piave a Negrisia e a San Donà.

Si aggiunsero altre concause a rendere un evento meteorologico  eccezionale in un evento drammatico.

Gli impianti della Bonifica furono tutti attivati al sollevamento, i collettori delle acque alte, su cui si sarebbe dovuto pompare l'acqua dell'esondazione, erano già in piena per l'effetto delle straordinarie precipitazioni a monte.

Le torbide acque del Piave e del Livenza, già nelle prime ore del giorno 4, raggiunsero la pianura.

Infine, la violenta mareggiata e la conseguente  piena eccezionale, impedirono ai due fiumi e ai canali emissari delle Bonifiche il deflusso a mare, determinando ritardi che aggravarono la pericolosità della situazione.

Il Piave continuava  a rimontare impetuoso e con un suono sordo e violento.  Era controllato in molti punti.

La paura della catastrofe si leggeva  nei volti pallidi delle persone e  nei loro sguardi smarriti e impotenti.

Quella notte fu lunga perché ci si apprestava a vegliare  avendo la certezza che qualcosa di drammatico sarebbe successo.

Gli altoparlanti dalle strade  gridavano ripetutamente agli abitanti di non dormire, di tenersi pronti all’evacuazione e di stare calmi in attesa di ordini.

I parroci suonano le campane nel modo più forte possibile per avvisare i paesani, per tenerli svegli .

La notte avanzava  e il livello delle acque continua a crescere raggiungendo i 7 metri e mezzo.

Alle 21,30 il Piave rompe a Negrisia sull’argine sinistro.

Ecco! Ciò che si aspettava con paura era arrivato. La piena travolgente del Piave si scatenò con una furia enorme.  La nonna e la mamma mi raccontarono che scapparono tutti ai piani superiori delle case lontane.

Nel loro ricordo,vivo il senso di miseria e freddo che lascia l’acqua che attraversa una casa e travolge tutto. L’umidità che penetra i muri e le ossa delle persone lasciando dolore nel corpo e nell'anima.

Nel frattempo uomini e militari cercavano di arginare con sacchi di sabbia l’impeto dell’acqua.

L’acqua proseguiva la sua furia e finirono sotto acqua centinaia di migliaia di ettari San Donà, Noventa di Piave e Cessalto compresi, si trasformano in un unico, immenso lago.

Nella campagne buie e annientate dalla furia dell’acqua si sentono urla  di persone, bambini, animali cani, maiali, mucche che erano insieme ai campi erano il sostentamento delle famiglie rurali venete.

Gli anziani non vogliono lasciare le loro case; faticano a staccarsi.

In questo grande lago che va da Negrisia a San Donà fino a Jesolo le persone e gli animali vengono portati in salvo con le barche.

Non c’è coordinamento! Ognuno si arrangia come meglio può. Arriva l’esercito ma non c’è coordinamento degli aiuti.

La lunga notte lascia lo spazio alle luci dell’alba che mostrano uno scenario tremendo: persone sopra le case, animali che hanno cercato di salvarsi come potevano, oggetti personali, piatti, vestiti, cornici con le foto dei racconti di una vita che galleggiano… tutto travolto dall’impeto dell’acqua.

Era il 1966 la tivù facevano vedere solo l’alluvione a Firenze.  Ma della zona del Piave e di Venezia non si parlava.

Arrivò in visita il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Visita i luoghi alluvionati, si commuove incontra gli sfollati ma  viene contestato e gli tirano addosso fango. La gente è arrabbiata, si sente abbandonata, lasciata sola. Saragat rimane bloccato e deve tornare indietro, con la macchina finalmente tutta infangata.

La conta dei danni è drammatica. Le perdite  sono ingentissime nessuno pensava che la piena raggiungesse quelle misure. La catastrofe commuove tutti e arriveranno aiuti dall’Italia e dal mondo.

Lo Stato elargisce dei risarcimenti e quasi tutti ci hanno guadagnato. Sono pochi quelli che ci hanno rimesso veramente: sono soprattutto quelli che hanno avuto la casa sott’acqua per tanto tempo. Non c’è controllo si ottiene anche  senza chiedere.

I tempi dopo l’alluvione saranno tempi duri per la campagna, le fattorie agricole e per il ritorno alla vita normale.

Una tragedia che è rimasta impressa nei ricordi di chi l’ha vissuta e quando il Piave si carica d’acqua e si fa impetuoso ritorna la paura della piena.

Un territorio quello italiano che rivela ogni giorno la sua fragilità e la sua vulnerabilità, che mette paesi e cittadini a dura prova.

Un paese, il nostro, che non ha tratto insegnamento dalle grandi tragedie come le alluvioni, che sono prevedibili, investendo in infrastrutture ma un paese che arriva, ancora, a trovare soluzioni dopo che la tragedia  è accaduta.  Anche i  terremoti, che stanno abbattendo centri storici come il domino rally,  sono eventi  imprevedibili  ma si potrebbero arginare i danni e la devastazione se solo fosse stata attuata una programmazione urbanistica nazionale  che prevedesse l’obbligo di un’edilizia antisismica e di un  attento uso del territorio.

Il Consiglio Nazionale dei Geologi afferma “L’Italia è un Paese MORFOLOGICAMENTE FRAGILE perché è GEOLOGICAMENTE GIOVANE. E la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti attraverso l’intensa attività sismica e vulcanica ed i continui e ricorrenti fenomeni erosivi (frane, alluvioni, valanghe, ecc.) che si verificano con tempi di ritorno sempre più brevi e anche dopo solo poche gocce d’acqua.Ma l’Italia è anche un Paese ANTROPICAMENTE malato. Anche in questo caso la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: urbanizzazione selvaggia; scellerato consumo del suolo; disboscamenti senza programmazione; quartieri costruiti negli alvei; disprezzo e violazione di ogni norma di pianificazione; rinvii di spese indispensabili; taglio progressivo dei fondi per il rischio idrogeologico”.

Il passato e il presente tragico dovrebbero farci riflettere e farsì che la politica imbocchi  delle scelte programmatiche che abbiano come priorità la salvaguardia dell'Italia e degli italiani.

 



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