Fulvio Ervas lascia la scuola ma con il suo Stucky sarà presto in Rai
Il professore-scrittore in pensione dal 1 settembre: "Si interrompe un flusso di relazioni, di affetti, di impegno e, certo, di fatiche ma tutte scelte e, tutte, ripagate"
TREVISO - Con la conclusione dell’esame di maturità ha terminato anche il suo lavoro di insegnante, gli ultimi anni trascorsi in uno dei più prestigiosi licei della Marca, il “Canova” di Treviso.
Docenti si rimane sempre: nelle menti e nei cuori delle generazioni di allievi incontrati e accompagnati in tanti anni. Soprattutto quando hai messo in pratica la lezione di Plutarco: “Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Come ha fatto per quarant’anni Fulvio Ervas, professore e scrittore.
Cosa si prova all’uscita dalla scuola?
Davvero è una strana sensazione: da un lato si respira libertà perché si lasciano alle spalle i catafalchi della burocrazia scolastica e dall’altro si percepisce la frattura con un mondo comunque ricco, colmo di suggestioni. Ogni insegnante che ha amato questo lavoro sa che si interrompe un flusso di relazioni, di affetti, di impegno e, certo, di fatiche ma tutte scelte e, tutte, ripagate.
La professione da insegnante l’ha scelta o è venuta da sola?
Mi sono laureato in Scienze Agrarie e il mio destino avrebbe dovuto essere quello di seguire le aziende agricole o, alla peggio, fare il rappresentante di mangimi per polli e tacchini. Per quasi un anno ho cercato di seguire delle aziende del settore flor-vivaistico, ma ho capito che non era il mio mondo: non ti ascoltava nessuno. Eri pagato per dare consigli, ma ogni imprenditore aveva la sua idea, spesso irremovibile. Ho provato con la scuola. Supplenze temporanee, e mi è sembrato di essere utile, di riuscire a trasmettere qualcosa. E lì sono rimasto…
Quanti anni ha trascorso in aula? Fatiche, soddisfazioni, rimpianti, ripensamenti?
Ho insegnato per quasi 40 anni. Un lungo periodo che mi ha permesso di osservare i cambiamenti sociali, i comportamenti, persino le emozioni del complesso mondo dei giovani. I loro cambiamenti sono i cambiamenti delle famiglie, della società. Sono un’enorme fonte di insegnamenti. Insegnare è, senza dubbio, una professione impegnativa, contrariamente a quanto pensano i comuni cittadini. E non è una professione per tutti. Esige energia, capacità di lettura dei caratteri individuali e del gruppo classe. Esige strategie e un chiaro obiettivo: contribuire a far crescere un buon cittadino, maturo e informato. Non ho mai pensato di aver sbagliato lavoro. Certo, talvolta non ho capito del tutto molti studenti e forse non sono stato utile; molte volte non sono riuscito a collaborare con altri docenti. Ma il bilancio, in tutta onestà, rimane positivo e rifarei le stesse scelte.
Come prevede la scuola dei prossimi anni? Prima ancora: cosa auspica possa diventare?
I limiti che, oggi, mi pare di vedere nella scuola sono costituiti dalla assenza di una vera selezione, in entrata, del corpo docente che ne verifichi non solo le conoscenze disciplinari ma le capacità educative e, allo stesso tempo, vedo la persistenza della distanza tra scuola e mondo reale. Ho anche la netta sensazione che la scuola rincorri, e purtroppo a distanza, il presente e, ancor meno, sia proiettata verso gli scenari futuri. Ho coscienza che sia difficile, che tuttavia esistono tentativi in tal senso, penso all’alternanza scuola lavoro, ma le due velocità sono ancora troppo dissimili. Auspico una scuola che sappia partire dal presente e collegarlo al nostro passato e non viceversa. Auspico una scuola in cui i docenti, soggetti con forte individualismo, sappiano fondersi realmente nel loro lavoro. Penso, nel mio caso, all’artificiosa distanza che ancora sussiste tra formazione “umanistica” e “scientifica”. E poi spero che si dissolva l’esame di stato nella sua forma attuale, in larga misura solo rituale.
E adesso: scrittura e orto (ne coltiva uno da autentico manuale, n.d.r.)?
Non sarà facile riorganizzare la vita con l’assenza della campanella, delle formule scritte alla lavagna, dei compiti e degli strafalcioni, anche divertenti, degli studenti (e miei). L’orto rimane la mia formazione continua, il luogo fisico in cui imparo dagli altri viventi e rifletto sui cambiamenti del mondo. Il luogo dove bisogna prendersi cura per avere un risultato. La scrittura mi accompagna da più di venti anni. Una compagnia fondamentale. Un modo per indagare il mondo. Ho sempre scritto nel tempo libero dagli impegni scolastici. Chissà come sarà scrivere di mattina, che è il momento di miglior creatività. Potrei scoprire che la fonte di massima ispirazione era propria la vita scolastica!
Il suo famoso ispettore sta per approdare sugli schermi della RAI: sarà una serie?
Stanno lavorando per trasformare Stucky in una serie di film a formato televisivo. Una sequenza di episodi, ciascuno tratto da un romanzo dell’ispettore. Speriamo che il progetto si concluda a breve.
Qualche altra anticipazione: un nuovo romanzo?
Un mese fa è uscita la nona puntata dei romanzi dell’ispettore. Mi pare lo Stucky più bello: avevo bisogno, durante il Covid, di una compagnia frizzante e l’ispettore lo è.
Sempre con uno sguardo rivolto alla nostra terra...
Io credo di raccontare la marca trevigiana, e il Veneto, con uno sguardo particolare, con affetto e con atteggiamento critico. Mi pare un dovere, per uno scrittore, rispetto al territorio che ama. Ho due romanzi aperti, deciderò su quale concentrarmi. Ma in questi giorni sono preso con la salsa di pomodoro dell’orto. Niente a che vedere con quella del supermercato!