LA LEGGE SUL MADE IN ITALY NON PIACE A UNINDUSTRIA
Gli industriali trevigiani della moda dicono che non tutela la qualità dei prodotti italiani
| Laura Tuveri |
Treviso - Per Roberto Bottoli, presidente del Gruppo sistema moda di Unindustria Treviso non tutelerebbe il “Made in Italy”. Eppure tutti i politici sono soddisfatti, tutti contenti. La nuova legge sulla etichettatura dei prodotti tessili, calzaturieri e pelletterie; il settore moda per intendersi non soddisfa gli industriali trevigiani.
“Non tutela appieno gli interessi di chi produce in Italia perché consente l’indicazione del “Made in Italy” anche a quanto prodotto solo “prevalentemente in Italia” (in particolare se almeno due fasi di lavorazione sono state eseguite nel territorio italiano e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità) ha detto Bottoli che dice di temere che le “maglie larghe” della nuova normativa non riusciranno ad impedire lo stravolgimento dell’essenza del Made in Italy ed il declino del suo appeal.
“La proposta di legge era nata per una lodevole iniziativa di un gruppo di imprenditori e politici di vari schieramenti, a firma dei deputati Reguzzoni - Versace - Calearo e altri, con l’intento di dare al consumatore finale certezza sull’origine dei manufatti tessili e calzaturieri.
“Una rivalutazione del Made in Italy – prosegue l’industriale - sarebbe stata utile, inoltre, per dare una speranza di futuro alle imprese del settore che operano in Italia rispettando le normative in materia di salute, sicurezza, lavoro, gravate da costi di produzione molto più alti rispetto ai paesi dell’Est Europa ed Asia”.
Il presidente ricorda che la concorrenza con questi Paesi impone ai produttori italiani una battaglia impari che solo l’appeal del Made in Italy, con il fascino che deriva da un mix di cultura, stile e qualità, potrebbe compensare almeno parzialmente l’enorme gap dei costi.
Ora spiega Bottoli un abito realizzato con tessuto prodotto tramite filature e tessiture in Italia ma la cui confezione venga fatta in Romania o in Cina, potrà essere etichettato “Made in Italy”.
“Una contraddizione, dunque, che evidenzia ancora una volta come nel nostro Paese non sia ancora stata recepita l’importanza di quella parte di manifatturiero che ancora produce in Italia, contribuendo in modo determinante al mantenimento dei livelli occupazionali, al sostegno finanziario dello Stato e all’equilibrio del saldo commerciale”.