Insegnare il dibattito a scuola per isolare odiatori social e leoni da tastiera
La prof.ssa Novella Varisco ha appena pubblicato "Viva la polemica viva" e anima la rete degli istituti della Marca che praticano il "debate": "Il dissenso va bene se educato e finalizzato"
TREVISO - Di polemiche, di scontri verbali ne abbiamo fin sopra quegli stessi capelli per i quali si prendono in ogni puntata i protagonisti dei talk show televisivi. Format che tra i tanti difetti hanno anche la colpa di aver svilito, rendendolo inascoltabile, impraticabile (e indigesto) il dibattito genuino, il confronto serrato tra le parti che già in età medievale erano il metodo del “fare scuola” e gli arnesi per la ricerca della verità. Per non indugiare sugli incivili confronti attraverso i social, veri e propri canali di istigazione all’odio.
Tornare a insegnare come si fa a dibattere da alcuni anni è diventato l’obiettivo di una Rete di istituti superiori della Marca (“Il dibattito fa scuola”), ideata e guidata dalla prof.ssa Novella Varisco, docente di Filosofia al “Da Collo” di Conegliano e cultrice di Teoria dell’argomentazione all’università di Padova, dove a insegnare la materia è il prof. Adelino Cattani. E fresco di stampa è il libro di Novella Varisco, “Viva la polemica viva”.
Professoressa, i nostri ragazzi hanno proprio bisogno di imparare a dibattere? Non ce ne sono già abbastanza di discussioni oggi?
Ne hanno bisogno, sì: per diventare polemisti virtuosi (e fecondi) che ascoltano l’interlocutore per muovere obiezioni pertinenti ed efficaci, che sanno giustificare le proprie convinzioni, che rispettano l’altro qualunque siano le ragioni che sta sostenendo, che rimangono nel merito della questione senza cercare sotterfugi per evitare il confronto e la divergenza.
Ma se è così a imparare come si dibatte dovrebbero essere non solo gli studenti…
Conta molto anche formare un uditorio responsabile dei dibattiti pubblici. Quando i disputanti non riescono ad evitare il confronto scomposto, litigioso ed in ultima analisi inconcludente, sono proprio coloro che assistono al dibattito che possono fare la differenza, contribuire ad alzare il livello della discussione rifiutando di cedere al compiacimento tossico delle modalità deleterie che alimentano i litigi.
Bisognerebbe “aggiornare” un po’ la didattica che si fa a scuola
Direi che c’è bisogno di individuare strategie che permettano agli studenti di realizzare il passaggio formativo fondamentale dal sapere al saper dire perché: da questo punto di vista il dibattito è un ottimo strumento.
Dovrebbe essere insegnata così Filosofia al liceo…
Per quanto riguarda la filosofia, il dibattito permette di implementare la capacità di argomentare e controargomentare con un approccio che potremmo definire alternativo (ma allo stesso tempo complementare) rispetto alla logica tradizionale che usa la validità deduttiva come metro di valutazione della bontà di un argomento. Il dibattito è una metodologia “novantiqua” come ama ricordare il professor Adelino Cattani impegnato da un ventennio a diffonderne la cultura presso le scuole. Basti solamente pensare all’importanza della disputatio nelle università in epoca medievale, parte integrante del curriculum e momento centrale del processo educativo che coinvolgeva tanto gli allievi quanto i magistri.
Il metodo vale anche per le altre discipline?
Vale sicuramente nell’ambito della matematica e della logica formale, ma le cose cambiano quando ci muoviamo entro contesti incerti, che in realtà sono quelli che riguardano la maggior parte delle questioni che quotidianamente affrontiamo. Il dibattito permette di riconoscere forme di ragionamento che, pur deduttivamente invalide, sono giustificate e giustificabili alla luce del contesto e delle loro condizioni d’uso.
E in tal caso a cosa serve?
A educare alla complessità e alle molteplici sfumature del ragionare. E poi ha una funzione ecologica perché addestrando a riconoscere, in situazione, i ragionamenti ingannevoli, consente di vivere tra gli inganni non ingannati.
Nella Marca lei ha creato una Rete di scuole che aderiscono al progetto: come state lavorando?
Diverse scuole secondarie di primo e secondo grado (non solo di Treviso ma anche di Belluno, Venezia, Verona e Vicenza) adottano il dibattito come strumento per formare gli studenti alla partecipazione attiva. La Rete promuove corsi di formazione per docenti e studenti, incontri con esperti di public speaking, comunicazione, information literacy, mappatura di argomentazione e favorisce occasioni di incontro tra gli studenti delle varie scuole.
Un percorso che si conclude con il torneo del dibattito
Il Festival del dibattito è l’evento conclusivo delle attività annuali e si svolge in primavera al “Da Collo” dove si tengono sessioni di dibattito tra squadre rappresentative degli istituti che fanno parte della Rete.
Veniamo al suo libro: “Viva la polemica viva”; di questi tempi abbiamo proprio bisogno di farla?
Il mio è un invito a superare il diffuso pregiudizio che porta ad identificare polemica e litigio, un invito che muove da una constatazione di fatto: i dibattiti sopra le righe che sfociano in scontri aperti sono unanimemente condannati, ma la polemica accesa piace e attira, anche se nelle situazioni di profondo disaccordo si sostiene con fermezza di non voler polemizzare.
La classica “sana polemica” insomma…
Cerco di mettere in luce le caratteristiche positive della tanto bistrattata polemica che è sì un conflitto, ma un conflitto del tutto particolare, generativo, come il polemos eracliteo. È dallo scontro di opinioni, dal dissentire – atto tipicamente ed esclusivamente umano – che possiamo scoprire altro attraverso l’altro.
E a quelli che vogliono sempre aver ragione quando discutono, a cominciare da molti politici, che cosa dice?
Ricordo che la vera sfida della democrazia non è tanto l'eliminazione delle controversie (cosa, peraltro, non sempre possibile ed opportuna) quanto la giustificazione del dissenso. Non dobbiamo infatti scordare che il dibattito e la polemica sono competizioni tra interlocutori che sostengono tesi inconciliabili il cui obiettivo è ottenere l’approvazione del pubblico che sta ascoltando.
È per questo quindi che in tv si alza tanto la voce e ci si insulta?
Nello spettacolo dell’odio che spesso domina i dibattiti (pubblici e privati, online e offline) l’approvazione di chi ascolta è divenuto drammaticamente marginale; l’argomento del contendere si perde letteralmente per strada e con esso il pubblico perde l’opportunità di comprendere le ragioni che stanno a fondamento di diverse posizioni.
Diciamo che il suo libro allora dovrebbero leggerlo un po’ tutti…
Dovremmo impegnarci tutti a contrastare la pigrizia intellettuale e lo spettacolo dell’odio a cui ci stiamo assuefacendo ricorrendo alla nostra naturale tendenza al dissenso, un dissenso educato nella sua espressione e orientato ad un preciso fine: la comprensione delle questioni di fondo da cui dipendono le nostre deliberazioni e le nostre azioni all'interno di una società plurale che assuma la ricerca del bene come suo orizzonte.