"Razzismo e odio ebraico mai sopiti. Dobbiamo lavorare sul post-memoria"
Silvia Ferrari, giovane ricercatrice, ha appena dato alle stampe un saggio su Primo Levi
TREVISO - Silvia Ferrari, scrittrice, dottore di ricerca in Filosofia, classe 1987, ha scritto numerosi saggi sul tema della testimonianza e dell'esperienza concentrazionaria. Ha voluto dare voce a uno dei testimoni più autorevoli dell’Olocausto, un grande della letteratura italiana, dando alle stampe nei primi giorni di quest'anno: “Oltre la crisi della memoria. Primo Levi: una storia intellettuale della testimonianza della Shoah”, Mimesis, 2021. Sarà ospite dell’evento organizzato per la Giornata della Memoria, da Marco Carniello, animatore instancabile di “Pensieri in circolo”. Alle 20.45 di mercoledì 27 gennaio la ci potrà ascoltare, affiancata dagli studenti della Scuola Primaria di Mignagola e la Scuola Media di Carbonera, collegandosi al link: https://global.gotomeeting.com/join/231984853
Di che cosa parla il suo libro?
Il mio libro delinea una parabola delle testimonianze ebraiche della Shoah dagli anni Quaranta agli anni Novanta, seguendo il filo rosso della testimonianza di Primo Levi. Abbiamo sempre avuto la suggestione che la testimonianza dei campi di concentramento fosse data una volta per sempre, mentre se si analizzano le rappresentazioni dei testimoni, è sorprendente scoprire quanto le parole, le immagini, le suggestioni all’interno delle loro testimonianze, pur rimanendo sempre storicamente vere, differiscano a seconda del momento in cui esse vengono pronunciate. Questo dipende dal modo in cui il pubblico è pronto a recepire le testimonianze, dal contesto sociale e storico.
Perché lo ha scritto?
Il libro è il frutto dei miei anni dottorali. Ho un dottorato di ricerca in filosofia conseguito nel 2016 alla Scuola Internazionale Alti Studi San Carlo di Modena proprio sul concetto di testimonianza e su Primo Levi. Durante il periodo del lockdown ho sentito l’esigenza di riprendere in mano quella tesi, snellirla, aggiornarla e trasformarla in un saggio.
E' difficile parlare oggi di Olocausto?
Sicuramente parlare dell’Olocausto è una tappa obbligata quando si avvicina il 27 gennaio, la Giornata della memoria, ma non dovrebbe essere così. Non è possibile relegare lo studio e l’approfondimento, sia storico sia filosofico, di un evento di tale portata soltanto una volta l’anno. La scuola, l’università e la ricerca su questo fronte dovrebbero essere in prima linea, e lo sono, anche se è difficile trovarne sbocchi nel dibattito pubblico. L’antisemitismo non è una pagina sbiadita della nostra storia, della nostra cultura, lo abbiamo visto anche recentemente quando la senatrice a vita Liliana Segre è stata obbligata alla scorta per le minacce subite. E’ necessario trovare uno spazio ad hoc oltre quello del 27 gennaio allargando la prospettiva di discussione.
Ascoltano di meno questa "Storia" i giovani o gli adulti?
Gli adulti. I ragazzi sono molto più ricettivi e curiosi, hanno meno barriere ideologiche e soprattutto sono disposti all’ascolto e non hanno paura di porre domande. Maggiormente ci allontaniamo nel tempo da Auschwitz, maggiormente sarà urgente il tema della post memoria, cioè di costruire una memoria che vada al di là dei testimoni diretti dell’Olocausto, che purtroppo stanno progressivamente scomparendo. Come in una staffetta, allora, la parola deve passare proprio alle nuove generazioni, che non hanno il compito di essere dei meri registratori e ripetitori di chi li ha preceduti, ma provare a ripartire dalla storia e dalle testimonianze, per reinterpretarle in una chiave nuova sfruttando la letteratura o l’arte, per esempio. La graphic novel di Spiegelman, Maus, fa scuola in questo senso.
Non le pare che sul tema ci si stia un po’ anestetizzando?
Il tema si ripropone sempre quando scatta l’allarme: è il caso degli haters contro Liliana Segre, per esempio. Inoltre, il riemergere del razzismo e dell’odio antiebraico è spesso coincidente con la crisi economica, la paura, i radicali cambiamenti all’interno delle società. Ecco, quando ci sono casi eclatanti, il tema della Shoah riemerge preponderante.
Perché è importante far parlare ancora Primo Levi?
Primo Levi in realtà è uno sconosciuto: si legge Se questo è un uomo alle scuole medie, poi forse lo si riprende velocemente all’ultimo anno delle superiori, e rimane poco o nulla nel complesso dei cicli scolastici. Nella cultura italiana in realtà è un autore dato molto per scontato ed è un vero peccato. Il capolavoro di Levi è I sommersi e i salvati, un saggio storico filosofico concluso a pochi mesi dalla sua morte, che è il suo vero e proprio testamento. Quel testo è fondamentale perché delinea delle riflessioni sulla vergogna, sull’offesa, sulla zona grigia e sul potere che sono degne di un saggio di filosofia politica, proprio perché hanno un respiro universale: partono dall’esperienza particolare del lager per allargare la prospettiva che va ben al di là dei cancelli di Auschwitz. L’universalità è la vera forza di un testo, e i testi di Primo Levi la hanno, in particolare quest’ultimo saggio.