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19 aprile 2024

Ricordi di una dolcissima ruralità passata 1

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Alberta Bellussi | commenti |

botoi pannocchie mais

Ricordi di una dolcissima ruralità passata 1

Il tendone del circo di Moira Orfei era pieno di gente. Erano tutti con il fiato sospeso e gli occhi rivolti all’insù per il numero dei trapezisti. Al terzo tentativo del triplo salto mortale non si sentiva neanche lo spostarsi di una foglia. L’adrenalina era a mille. L’atleta si lanciò nel vuoto al battito ritmato delle mani e il salto fu spettacolare. Partì un applauso così fragoroso che il tendone a strisce faceva fatica a contenere. Maria aveva percepito il clima di festa; aveva deciso che anche lei voleva vedere lo spettacolo.

Iniziò a scalciare così velocemente che sembrava volesse andare in pista. Le acque si ruppero. La corsa all’ospedale di due giovani ragazzi inesperti e alle prime armi era velocissima. Maria aveva fretta di respirare l’aria della vita. Il ventre della sua splendida mamma ormai le stava stretto. Neanche il tempo di entrare in sala travaglio e si sentì, per tutto il reparto, un vagito energico e deciso. Era nata Maria e da subito ci teneva a far sentire la sua presenza al mondo.

Lei era bella. Occhi vispi e verdi che diventeranno il suo strumento per conoscere il mondo e per affascinare. Il viso solare e paffuto. Splendidi fili dorati accompagnano tutta la sua esistenza. Maria è bionda. Da quel giorno del mese delle rose e delle ciliegie lei apparterà alla categoria delle bionde.

Maria è una bambina veneta. Cresce nella campagna trevigiana che ama visceralmente. E’ a contatto con il paesaggio agricolo della sua infanzia che impara a conoscere le  emozioni che prova. Le scrive tutte  e le mette, poi, nei cassetti segreti della memoria per preservarne l’esistenza. Lei non vuole  perdere nulla di quello che prova e che sente ma la sua mente è anche curiosa del mondo.

Qui entra in contatto con quelle piccole cose che Maria osserva, vive e fa proprie.

Ha sei anni, indossa il suo colorato vestitino a fiori che la fa sembrare una tenera bambolina con gli occhi verdi e i capelli come la Barbie.

La sua immagine esile e chiara cela in realtà una bambina energica e curiosa di tutto.

Quel giorno, stavano tagliando il mais nel campo vicino, la mietitrebbia, con l’impeto di un mostro dalla bocca enorme, si mangiava  file e file di piante secche. E’ travolgente non si ferma ma magicamente nel carro vicino vengono svuotati  dorati chicchi di biava.

Lei ci andava con il papà a vedere la trebbiatura e si nascondeva dentro i rimorchi colmi di mais.

Maria è affascinata dalla campagna. Ama annusarne gli odori e i profumi di cui la natura è generosa generatrice. Si incanta a guardare i colori delle piante, delle foglie.

Piccina, piccina ascolta i discorsi dei contadini. Umidità. Grandezza del chicco. Precoce tardiva. Lei guarda curiosa, mette tutto dentro i suoi cassettini segreti. Maria non butta via nulla: esperienze, sensazioni e emozioni. Tiene tutto come un tesoro prezioso. Pensa al suo libro immaginario della fantasia che inizia a riempire giorno per giorno.

Lei se l’era sempre sognata come un grande mostro la mietitrice; un mostro venuto a conquistare un campo che se lo divorava  in poco tempo. Maria guardava il campo di mais che scompariva sotto i suoi occhioni verdi e si chiedeva: “Si mangerà tutto il mais?”. “speriamo di no!” si rispondeva dentro la sua testolina.

Lei e la nonna erano solite andare a raccogliere, con una zest, le pannocchie che rimanevano nel campo dopo il passaggio del grande mostro. Questo mais serviva per dar da mangiare alle galline e ai tacchini di casa.

Maria era eccitata.

Correva su e giù per il campo e prendeva i pezzi di pannocchia rotti e anche i botoi che servivano per accendere il caminetto.

Tornata a casa, Maria si sedeva sui sassi del cortile e tirava la biava, appena raccolta, agli animali. Le galline, un po’ più sciocche, si avvicinavano veloci; poi quando lei buttava il cibo correvano tutte dalla stessa parte

contendendosi una dal becco dell’altra un chicco.

 Dei tacchini lei aveva paura. Si divertiva, però, ad urlare loro  per sentirsi rispondere con goglotii  poco coordinati. Poteva andare avanti per ore con questo gioco e loro facevano sempre lo stesso meccanismo ripetitivo.

Maria riusciva a giocare anche con una foglia che, a volte, si immaginava fosse una tranquilla barchetta sul fiume.

 Lei aveva molta fantasia…una fantasia davvero smisurata.

La bambina aveva un amico segreto al quale ogni sera raccontava le sue emozioni. Si chiamava e si chiama tutt’ora Amore. Non se l’era immaginato bellissimo ma molto buono e dolce con lei.

Lei non era mai triste; era sempre solare e piena di allegria.

Maria amava molto osservare il lento mutare della campagna veneta mese dopo mese. Rimaneva incantata per ore a guardare i colori delle piante, macchie verdi, rosse e gialle.

Il campo, sfinito dal passato raccolto, lascia riposare il suo arido manto. Nascono vigorose, sopra di lui, erbe ed erbacce i cui semi sono custoditi nella terra. Sono i semi che la terra porta con sé, che tramanda aratura dopo aratura. Sono i testimoni della ruralità veneta. Quelle stesse erbacce della terra a riposo si presentavano agli occhi dei nostri bisnonni. La terra che, d'inverno riposa sonnolenta scaldata da quel naturale mantello, in realtà è un fertile ventre di donna che racchiude in sé la potenzialità di donare vita.

E finalmente giungeva il tempo di preparare i terreni per la semina. A spezzare il suo letargo e a risvegliare la sua generosa sensualità ci pensa l'aratro del contadino. Maria perdeva il suo sguardo dietro l’aratro. Saliva spesso nel pararuota del trattore con i contadini ad osservare la terra solcata e a sentirne l’odore.

L’aratro affonda con gesto virile il terreno vergine. Inizia il suo gesto fecondo per rendere la terra fertile per la semina. Il gesto è quasi sacrale; deciso ma delicato. Il coltro taglia la terra verticalmente;  il vomere  la taglia orizzontalmente e il versoio  capovolge la zolla tagliata. In questa azione rituale e ripetitiva la terra cambia vestito, colore e profumo. Si presenta nel pieno della sua rotonda generosità pronta ad accogliere i semi che generano vita.

Maria osservava avida di emozioni quelle zolle che presentavano il loro abito migliore al contadino; marrone, nere, ocra. La terra si vestiva di vari colori e di mille profumi.

Poi corre frenetica verso casa, in sella alla sua piccola biciclettina rossa, a cui Maria aveva dato un nome naturalmente. Si chiamava G.puntino Brooklyn.

Sale in camera, prende il suo quadernetto e scrive le sue emozioni, le sue sensazioni cosicché anche il suo amico Amore le potesse conoscere ma soprattutto fissarle per sempre.



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