Una nuova materia da insegnare a scuola: l' Educazione alle emozioni
L'ha proposta il coordinatore veneto dei pedagostisti, Massimo Luciano Sidoti: "Dobbiamo aiutare i nostri alunni a diventare donne e uomini equilibrati".
TREVISO - Dovrebbe essere la strada maestra, quella antica tuttavia inesplorata: l’educazione alle emozioni. Quelle con cui la scuola è alle prese e lavora tutti i giorni. Da maneggiare con cura. La stessa con la quale dovrebbero essere coltivate. Per questo il dottor Massimo Luciano Sidoti, coordinatore regionale dell’Anpe (l’associazione dei pedagogisti) ha lanciato l’idea, elaborando pure il progetto: un’ora alle settimana, in tutte le classi, di una disciplina che dovrebbe essere alla base di tutte le altre. “Saper affrontare emotivamente la vita è una chiave per il successo personale a prescindere dalle competenze specifiche acquisite. Saper gestire ed incanalare le proprie relazioni ed emozioni aiuterà ogni alunno a diventare un uomo e una donna equilibrati.
Basterà un’ora alla settimana?
Un’ora settimanale dedicata all’emotività degli alunni permetterà di renderli non solo responsabili, ma anche motivati, consapevoli, capaci di un pensiero logico che li porti a ragionare con il cuore e con la mente.
Anche a diventare più sicuri, magari?
Ciò che serve è renderli capaci di comprendere le proprie emozioni, capire cosa provano durante un’ interrogazione o durante le proprie insicurezze o le scoperte certezze. Fondamentale saper enfatizzare le giuste emozioni rimanendo sempre con i piedi per terra.
Chi dovrebbe insegnare questa “materia”?
Da un esperto pedagogista perché l’educazione emotiva è una disciplina a tutti gli effetti, ed è fondamentale per formare una società sana. Da un esperto capace di intraprendere percorsi pedagogici educativi stimolanti, al fine di innescare nei pensieri più nascosti degli alunni il concetto di apprendimento esperienziale.
Di certo la prossima settimana, al rientro a scuola, alcune ore dovranno essere dedicate ad ascoltare i ragazzi e a farli verbalizzare dopo tutto il tempo trascorso a casa.
La prima cosa che faranno i ragazzi al rientro della scuola, è sviscerare tutti gli stati d’animo attraversati durante questi mesi di sospensione della didattica in presenza. La scuola è confronto, condivisione, comunicazione, dialogo, conversazione sulle divergenze o convergenze.
Sarebbe un guaio riaprire e poi tornare a chiudere
Scolasticamente sarebbe deleterio per la continuità didattica, soprattutto in un periodo scolastico dove il docente programma tutte le attività di consolidamento del processo formativo.
E a livello cognitivo: lei condivide il parere di chi paventa conseguenze sul medio e lungo termine a causa della prolungata chiusura delle scuole superiori?
La mancanza di continuità priva lo sviluppo armonioso ed efficace delle capacità intellettive, lasciando spazio all’impoverimento delle competenze fondamentali ed aumentando solamente le conoscenze nozionistiche. Il deficit formativo è già presente in molti ragazzi, in quanto apprendono con fatica, mostrano segni di stanchezza e poca attenzione alle lezioni sincrone.
La D.a.D è da assumere quindi a piccole dosi…
Gli effetti sociali della D.a.D. si manifesteranno tra qualche anno. I nostri studenti saranno carenti nella velocità di pensiero, nell’incapacità di poter affrontare le nuove sfide.
Non è scuola quella a distanza, questo intende?
La scuola in D.a.D. non è scuola perché manca di relazioni, di emozioni, di empatia. Non si viaggia con la mente attraverso la D.a.D, si resta chiusi, ovattati in un pensiero chiuso e schematico, non sprigiona curiosità ne pensieri logici, ma ragionamenti asettici. Il sapere si trasmette con dinamismo, con empatia così come sanno esigere i docenti in presenza.
La scuola in presenza: tutta un’altra cosa…
La scuola in presenza richiede attenzione, fatica mentale, abnegazione, continue sollecitudini del pensiero logico. La scuola apre la mente e ti fa navigare cavalcando le onde dell’immaginazione. La scuola dei pensatori, dei sognatore, degli inventori e degli esploratori.